È morto l’8 novembre nel carcere di Poggioreale, forse nell’infermeria. È morto venerdì, ma la famiglia lo ha saputo dopo solo grazie alla lettera di un compagno di galera.
Federico aveva 34 anni era di Latina ed era rinchiuso nella cella 6 del Padiglione Avellino insieme ad altre undici persone. Due diversi rapporti clinici dei dirigenti sanitari delle carceri di Viterbo e di Napoli Secondigliano lo avevano dichiarato incompatibile con il carcere. Aveva bisogno di un trapianto di fegato, ma invece e di mandarlo in ospedale lo hanno trasferito a Poggioreale. Da giorni chiedeva un ricovero per i dolori lancinanti allo stomaco e perché perdeva sangue dalla bocca quando tossiva. Ora la famiglia vuole sapere. Perché Federico è morto? Perché non l’hanno ricoverato? E come è successo? Le voci si rincorrono: è successo in infermeria, in ambulanza, in ospedale. Dove e come sia morto Federico non è chiaro, come non è chiaro perché nessuno abbia avvisato la famiglia.
Le sue condizioni erano gravi, ma chi doveva non ci ha fatto caso. Non era figlio di nessuno, era solo uno dei tanti e poi si sa che in galera i detenuti simulano per ottenere condizioni di vita più decenti. E così a 34 anni Federico è morto. Per farci sentire sicuri. Alla faccia del diritto alla salute e alla dignità. Alla faccia della giustizia. Perché non possiamo chiamare giustizia un carcere che ti condanna a morte, che ti nega le cure, che occulta la notizia della tua morte. Ora il PM titolare dell’inchiesta ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di reato di “omicidio colposo” e ha disposto l’autopsia. La madre di Federico aspetta di sapere come e perché sia morto suo figlio e anche se qualcuno pagherà per questo.
Quel che è certo è che Federico è il morto numero 139 del 2013 galeotto. E che si avvicina il termine di un anno fissato dall’Europa perché l’Italia riporti le carceri nell’ambito dei diritti.
Cambierà davvero qualcosa o dovranno morire ancora altre persone in nome della giustizia e della sicurezza?