Eppure un ministro si è dimesso. Si chiama Josepha Idem, aveva illustrato l’Italia nello sport, ma non era amica di don Salvatore Ligresti e non era amica dell’ambasciatore del Kazakistan. Frequenta italiani comuni e per questo balles of steel l’ha trattata come un fusibile, non ha sollevato per lei la questione di Stato. Come ha fatto per Angiolino Alfano e Annamaria Cancellieri. Scrive Massimo Franco sul Corriere. Il sindaco di Firenze può vincere il congresso, ma il presidente del Consiglio ha prevalso nella prima sfida diretta: a conferma che le incursioni del «rottamatore» dovranno fermarsi al confine delle “larghe intese”.
Spiega Repubblica. “Letta salva il ministro Cancellieri. Se cade lei, cade tutto il governo. Renziani e Cuperlo: ne prendiamo atto”. “Il Colle e Letta piegano il Pd” titola, invece, il Fatto quotidiano. Poi intervista Civati e gli chiede di Renzi: “La mattina sono leoni, poi la sera dicono che sono cambiate le condizioni. Così la confusione in questo partito aumenta e non si capisce più niente. Renzi ha 200 parlamentari che lo seguono: se avesse voluto, avrebbe potuto restare coerente con ciò che aveva detto sulle dimissioni del ministro della Giustizia. Invece niente. Chissà che cosa aspetta.”
Pare che Civati abbia almeno provato, nell’assemblea dei deputati – i senatori né invitati né graditi -, a mettere ai voti la sua, annunciata, mozione di sfiducia. Pare che Gianni Cuperlo lo abbia duramente attaccato, accusandolo di mettere in piazza, con il suo movimentismo, le contraddizioni del Pd. Svelandone le figuracce. “Sfiduciate me, se cade la Cancellieri”: questa è la sintesi di Repubblica. “E il Pd obbedisce”.
Io spero che quello di ieri non sia l’atto finale del Congresso, ma solo un inizio del confronto vero. Perché i candidati a segretario del Pd sono, sì, Cuperlo, Renzi e Civati, ma gli azionisti di maggioranza del partito-Stato, quello fatto da capi gruppo e presidenti di commissioni, da relatori e ministri, sono entrati in gioco solo ieri. Si chiamano Enrico Letta e Giorgio Napolitano, sintesi perfettissima della Dc dorotea e del PCI migliorista, quel che resta dell’ancien regime
“Il dramma della Sardegna sott’acqua”, Repubblica. “Così si muore di maltempo e incuria”, Corriere della Sera. Gian Antonio Stella si assume il compito del padre ricordante. “Alla fragilità naturale del territorio, già esposto come pochi altri ai terremoti, si son sommati errori e orrori. I disboscamenti selvaggi, i quartieri costruiti negli alvei, l’oblio infastidito sui disastri del passato, i rinvii di spese indispensabili (aspettiamo la carta geologica in scala 1:50.000 dal lontano 1988), il taglio progressivo dei fondi per il rischio idrogeologico: da 551 a 84 milioni tra il 2009 e il 2012. Solo 20 quest’anno. Un quarto dei soldi buttati per convertire l’ospedale militare alla Maddalena in un hotel mai aperto per il G8 mai fatto”.
“Sardegna, la strage sconvolge l’Italia”, La Stampa. “Cadaveri, sfollati, città travolte, il dramma del ciclone Cleopatra”. Sì, oggi l’Italia piange. “Il piccolo Enrico morto tra le braccia del papà atleta” Oppure, “Piove ma qui siamo al sicuro: il dramma della famiglia inghiottita dal fango”. Piange ma è pronta a dimenticare. “Comuni senza piani d’emergenza, ecco perché l’allerta di domenica non è riuscita a evitare la tragedia” constata Repubblica. E sul Sole24Ore Marcello Fois scrive: “Quei morti non ci perdoneranno mai perché sanno che noi avevamo il dovere di sapere, di avere la Storia a disposizione; avevamo il dovere di mantenere attiva la memoria, perché certo gli eventi eccezionali sono imprevedibili, ma la stupidità umana, è sempre, disperatamente, prevedibile”. Non i morti, ma la nostra coscienza infelice dovrebbe servirci da memento. Ma noi l’anneghiamo tra le parole, bugie consolatorie, e una continua girandola di eventi e appuntamenti per niente memorabili. Giannelli sbatte in prima pagina i 4 Mori sardi. Il primo si è calato la benda su gli occhi: “È meglio non guardare”.