Settimana terribile, quella che si apre oggi, con il governo chiamato a combattere su tre fronti: legge di stabilità, caso Cancellieri, decadenza di Berlusconi. Ed Enrico Letta che va al fronte come sa: mediando, sopendo, provando a rassicurare. Ma il suo esercito (la maggioranza delle ex “larghe intese”) è in subbuglio. Il PDL diviso, spaccato in due tra “innovatori” e “lealisti”, Alfano e Fitto per intenderci, disposti a giocare, gli uni contro gli altri, su tutti e tre i fronti della crisi pur di prevalere e condizionare il dopo Berlusconi. Il Pd stanco di mediazioni e di realismo e di non stringere alla fine nulla in mano. Alla ricerca di condottieri più audaci.
Repubblica, “Cancellieri, Letta blinda il governo”. Corriere della Sera, “Cancellieri offre due volte le dimissioni. Letta (le dice) resta. È giusto andare avanti”. Il Giornale detta, invece, le mosse al PDL, o Forza Italia, che chiamar si voglia. “Sette mosse per salvare la casa. Cancellieri verso la fiducia. Ma su Berlusconi, sbaglia”. (Santanchè sostiene che la telefonata della Cancellieri alla Ligresti vale quella del Cavaliere, in Questura, per far liberare Ruby). Invece la Stampa intervista il segretario del Pd: “Epifani, manovra da cambiare”.
Cominciamo da Epifani. “Ci vogliono più investimenti, più giustizia sociale… ma per questo servono altri 2miliardi e mezzo, da trovare con la Google Tax (cioè facendo pagare l’Iva ai giganti della rete) e aumentando l’aliquota alle rendite finanziarie”. Anche sulla casa Epifani chiede che la nuova tassa comunale non costi più dell’IMU. Perciò propone o di “alzare l’aliquota massima, lasciando ai comuni la libertà di introdurre franchigie e detrazioni per i meno abbienti, o di dare ai comuni 500 milioni per coprire il minor gettito”.
Si potrebbe pensare a un Epifani che torna sindacalista. Non è così. Ma è sulla politica per definizione, e cioè sul rapporto con l’Europa, che l’obiezione del segretario del Pd, nei confronti dell’azione del governo (e dello scudo di Scalfari), appare più severa. “L’euro è troppo forte, la ripresa stenta, l’austerità non è bilanciata da politiche di sviluppo. È tutta la politica europea che è sbagliata. Ci dicevano che dopo le elezioni tedesche, le cose sarebbero cambiate, invece non è cambiato nulla. Letta deve trovare la forza per imporre una discussione su un vero cambio di rotta”.
Su Repubblica, un’intervista di Pippo Civati apre il fronte Cancellieri. “Io sono in corsa per la segreteria del partito, giro per l’Italia. Sento che la nostra gente è inferocita per la vicenda Cancellieri. Una storia che è lo specchio del solito rapporto privilegiato tra potenti”. Meglio avrebbe fatto il guardasigilli a rimettere subito il suo incarico a disposizione del presidente del Consiglio. Poi sarebbe stato Letta a decidere sul da farsi. Invece ci chiederà di salvarla, come con Alfano… con lo spauracchio della crisi di governo, si mette il silenziatore a ogni diversità di opinione”. Spiega ancora Civati: “Nel paese degli amici degli amici, del conflitto di interessi, della casta, la nostra base non giustifica i rapporti della Cancellieri con i Ligresti, personaggi al centro di inchieste giudiziarie, e il suo intervento in loro favore”.
Ancora sul Pd. Il Corriere intervista Vladimiro Crisafulli, ex impresentabile (fu espulso dalle liste per le elezioni di febbraio) e neo segretario provinciale di Enna. Richiamato in servizio dal segretario regionale Lupo e da Cracolici (ex DS) nella battaglia contro Crocetta, ora Mirello se la gode. Si dice cuperliano “per capriccio e in odio ai renziani”, fa intendere che il suo rapporto con la sua gente è più solido di quanto non lo sia per quelli che sentono il bisogno di staccare tessere false o di consegnarle col contagocce, per non perdere la maggioranza. Mi costa scriverlo, ma Crisafulli è la falsa coscienza di questo PD, la prova di come si rischi di sprecare l’occasione congresso.
Ieri, davanti agli scandali per il tesseramento e ai troppi ricorsi alla commissione di garanzia, avevo suggerito ai candidati segretari di dire già ora che chiederanno a Fabrizio Barca di ricostruire i circoli e di ripulire le terminazioni nervose che dai territori dovrebbero trasmettere linfa vitale al centro, dunque a Roma. Perché il problema, come avrebbe detto Berlinguer, è politico. Non si è voluto chiarire come il Pd sia passato dal cambiamento alle larghe intese, non si è spiegato chi fossero i 101, non si è risposto a iscritti e votanti alle primarie che chiedevano di capire, si sono costruite regole astruse per cui prima si votano i segretari provinciali (con le tessere) poi il segretario nazionale (con le primarie), poi i regionali (come sintesi delle due forme di legittimazione). È ovvio che il congresso sia diventato un grande gioco per posizionarsi. E giocano sempre i vecchi gruppi dirigenti. Così il partito muore e il futuro segretario sarà “un uomo solo al comando” non per scelta, ma per la conseguenza di un pasticcio comune. Barca è portatore della soluzione politica. Lo chiamate o no?
Dulcis in fundo. Di Traglia e Geloni, vicinissimi a Bersani nell’anno per lui più difficile, hanno scritto un libro. Pare che dicano che i 101 siano stati mossi da Renzi e D’Alema. Perché, allora, Pierluigi non l’ha denunciato? O non l’avete fatto voi in sua vece? Perché chiedere a Napolitano di stendere la sua coltre su tutto, negando la politica che fu di Bersani e facendo vincere proprio i 101? Leggerò, per intendere.
Ah, Repubblica parla di un dossier segreto della Ue su “sprechi e mafia a L’Aquila nel dopo terremoto”. “Costi delle case lievitati del 158% e 350 milioni di fondi europei contestati”. Scherzando (ma non troppo), avevo proposto di far pagare di tasca sua Berlusconi per il disastro di Alitalia (di cui pose le basi, rifiutando l’offerta di Air France). E per l’Aquila, no’