Di Campania “felix” non c’è rimasto più niente

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I numeri, quelli almeno sono veritieri. Sabato scorso in piazza c’erano migliaia di cittadini provenienti da tutta la martoriata Campania. E non solo. Molti sono venuti finanche da altre regioni. Spinti dall’onda del “fiume in piena” che ha inondato le strade della città, da piazza Garibaldi fino a piazza del Plebiscito. Già, quest’ultima nota come piazza simbolo del Rinascimento napoletano dell’ex sindaco Antonio Bassolino, che pure quella piazza la rese vivibile – un tempo – sgomberandola dalle auto in sosta. Ma le colpe, dopo vent’anni e passa, sono altre. E sono tante. Dov’era la politica, quella con la P, quando la camorra (perché è sempre la camorra il colpevole. Ma quale camorra? Quella armata di pistole e kalashnikov? Quella vestita di tutto punto in giacca e cravatta nelle aziende non solo campane, ma anche del nord? O quella comodamente seduta sulle poltrone dei palazzi?) avvelenava i terreni della Campania felix? Qui di “felix” non c’è rimasto più niente. Ci sono rimasti piuttosto i volti dei bambini innocenti uccisi dal cancro, perché a pochi passi da dove venivano sotterrati i rifiuti tossici, loro respiravano. Ci sono rimasti i volti delle loro madri, che sorridono ormai solo da uno dei 150 manifesti che un prete di Caivano, don Maurizio Patriciello, ha messo insieme con le sue mani con l’aiuto di altri volontari. Eppure in piazza sabato scorso la gente c’era. Comitati, associazioni, unioni studentesche, cittadini comuni. Qualcuno aveva detto e ripetuto che la politica da quella grande mobilitazione pubblica era bandita. Eppure c’era. Gonfaloni sì, gonfaloni no. A cosa è servito – si chiedono in molti – ingigantire polemiche sulla presenza o meno dei Comuni, chiamati in causa dall’appello del sindaco di Napoli Luigi de Magistris? In piazza del Plebiscito, mentre le voci dei manifestanti si alternavano sul palco, sotto la pioggia aleggiavano fantasmi. Quelli di una moglie e due figlie che vivono solo nel ricordo del papà, che le porta nel cuore e su uno striscione che gli pende dal collo. I giovani, quelli che sperano in una seconda possibilità, sono scesi in campo, ancora una volta per far sentire il loro grido d’allarme. Ma nessuno li ascolta. Si sono accampati il giorno dopo al Plebiscito per continuare ad informare e denunciare. Un compito che sarebbe forse toccato a qualcun altro negli ultimi vent’anni? Ma davvero si crede all’oracolo Schiavone, boss pentito (?), che ora assume le sembianze di sommo detentore di verità assolute di cui tutti ignoravano l’esistenza? Perché nessuno dice, invece, che abbiamo tutti nascosto la testa sotto la sabbia come fanno gli struzzi? Perché nessuno dice che esistono focolai pseudo-ambientalisti legati a quella presunta politica del riscatto, che sostiene di volerlo cambiare questo paese? Ogni giorno spunta un comitato, un blog, un movimento. Oggi si reclama la presenza dell’Esercito. Oggi si scrive che Papa Francesco ha telefonato a una suora dopo aver visto la foto di un bambino morto. Oggi sarebbe il caso, forse, di far pagare le colpe a chi ne è veramente responsabile. Non a quelle migliaia di cittadini campani che, oramai, sono soltanto un nome inscritto su una lapide al cimitero.


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