Mesi fa a chi scrive è capitato di visitare il carcere di Capanne vicino Perugia. Un braccio sovraffollato, con i detenuti che vivevano uno sopra l’altro; il braccio accanto vuoto, con le attrezzature nuove che andavano alla malora. Spontaneo chiederne la ragione. La spiegazione è stata che non avendo agenti di polizia penitenziaria sufficienti per assicurare quei criteri minimi di sicurezza che vanno assicurati, erano costretti a tenere stipati come sardine i detenuti da una parte, mentre dall’altra le celle erano vuote. Un paradosso che, ci si augura, nel frattempo si sia superato, anche se è da credere che non sia un caso isolato.
A fronte di questa situazione altri paradossi. Carcere di Avezzano, provincia l’Aquila: 76 detenuti, 54 tra ispettori, agenti e sovrintendenti. A Gela, in provincia di Caltanissetta, 90 detenuti, 61 tra agenti, sovrintendenti e ispettori. A Foggia e Trani, in Puglia, si registra una vistosa carenza di organico; ma nella vicina Lucera 182 detenuti e 105 agenti. A San Severo 88 detenuti per 65 agenti. Siamo insomma a quasi un detenuto “ad personam”…
Poi ci sono episodi che è davvero difficile comprendere, come il caso del carcere minorile di Lecce: 22 agenti, 15 impiegati, nessun detenuto. Il centro è vuoto. Ed è vuoto dal 2007, perché c’era bisogno di lavori di ristrutturazione. Sei anni di lavori di ristrutturazione…ai dipendenti, secondo quanto riferiscono articoli di stampa e servizi giornalistici, si pagavano perfino gli straordinari. Interviene il ministero di Giustizia, e viene diffuso un bel comunicato: “Conclusi i lavori di ristrutturazione, si sta lavorando alla verifica delle ipotesi di riattivazione della struttura, da destinare ad interventi rivolti all’area del disagio giovanile”. Ecco: già uno che si esprime così, meriterebbe di finirci lui, in carcere. Quel comunicato era dell’ottobre 2012. Siamo al novembre 2013. Della riattivazione della struttura non si sa nulla.
Questi sono esempi credo emblematici di “costi” e di gestione che non corrisponde a quel tipo di amministrazione che s’usa dire del “buon padre di famiglia”.
Sandro Gozi, vice Presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa con delega alle carceri definisce «L’Italia delinquente abituale, basti guardare le ripetute condanne ricevute per le stesse problematiche, in primis sovraffollamento delle carceri e lentezza dei processi. Su 47 Paesi del Consiglio d’Europa, noi “produciamo” l’11 per cento delle condanne corte, dietro solamente a Russia (22 per cento), e Turchia (13 per cento)». I costi di questa realtà sono altissimi: solo per la lentezza dei processi, infatti, dobbiamo alla Corte ancora 500 milioni di euro. Inoltre, se entro maggio 2014 non risolveremo l’emergenza carceri, la ripresa dei processi contro l’Italia ci costerà altre centinaia di milioni di euro, «avremo da pagare 100mila euro ogni 7 detenuti che fanno ricorso, ossia ogni anno dovremo pagare multe per 60-70 milioni». Pagheranno tutti i contribuenti italiani, obbligati a pagare per l’illegalità dello Stato.
Un giornalista abituato da sempre a occuparsi di economia, di conti e cifre, parlo di Enrico Cisnetto, qualche giorno fa ci ha ricordato che il pessimo funzionamento della giustizia italiana è “un grosso ostacolo che allontana gli investitori stranieri dall’Italia”, e che si tratta di una questione “sempre più avvertita dalle imprese, non solo per il carico economico che devono sopportare, ma soprattutto perché il cattivo funzionamento della giustizia costituisce un grosso ostacolo per gli investimenti”. E questo è un primo dato circa i costi – sotto forma di mancati guadagni – che ci procura il pessimo funzionamento della giustizia. Poi ci sono le spese vere e proprie. La Corte Europea per i Diritti Umani di Strasburgo ha condannato l’Italia a pagare 100 mila euro per danni morali a sette detenuti nelle prigioni di Busto Arsizio e di Piacenza. Dal momento che i sette vivevano, o forse vivono ancora, nelle stesse identiche condizioni degli altri 67mila detenuti, immaginate un po’ a che cifra astronomica si arriva se alla questione del sovraffollamento non si pone un immediato rimedio. L’Italia ha anche un’altra maglia nera: dopo Ucraina e Turchia, siamo il paese con più detenuti in attesa di un primo giudizio, oltre 14mila su 67mila e rotti, in percentuale il 21,1 per cento. Ora è vero che le statistiche sono quella cosa per cui se io mangio due polli e il mio vicino nulla, risulta che abbiamo mangiato un pollo a testa. Ad ogni modo, le statistiche dicono che circa la metà di quel 21 per cento verrà alla fine dichiarato innocente, e dunque ha patito un’ingiusta carcerazione. Immaginate quindi a quanto può ammontare quel 10 per cento di risarcimenti che vanno prima o poi corrisposti.
Il Consiglio d’Europa ci ricorda che dopo la Serbia e la Grecia, il nostro paese è quello con il maggior sovraffollamento nelle carceri: 147 detenuti per ogni 100 posti, più o meno. Siamo al terzo posto per numero assoluto di detenuti in attesa di giudizio, dopo Ucraina e Turchia. Condizioni di vita che inaccettabili e che corrispondono, per ulteriore danno, a un elevatissimo costo di gestione. Nel 2010, per esempio, l’Italia ha infatti speso, escludendo le spese mediche, 116,68 euro al giorno per ogni detenuto. La Francia, prendendo in considerazione anche le spese mediche, ne ha spesi 96,12; la Germania, anche là prendendo in considerazione le spese mediche, 109,38.
Poi ci sono i “piccoli” aspetti. Per esempio una cosa credo poco nota: una persona che per una qualunque ragione finisce in carcere, deve pagare un conto diciamo così, di “soggiorno”. Uno si trova sbattuto in cella, magari è perfino innocente, si trova in un cubicolo sovraffollato, con condizioni igieniche spaventose, in più deve pagare circa 50 euro al mese., poco più di un euro e mezzo al giorno. In burocratese si chiamano “spese di mantenimento”; e nelle intenzioni dovrebbero servire a coprire i costi dei pasti, l’utilizzo delle lenzuola, i prodotti per pulire la cella. Una condanna a quattro anni di reclusione, per esempio, costa a chi la sconta 2.400 euro. Ai 13.990 detenuti che lavorano, sia per l’amministrazione penitenziaria che all’esterno, la somma viene detratta direttamente in busta paga. Gli altri pagano in un’unica soluzione, alla fine della detenzione: chi non paga riceve un’ingiunzione e ne risponde con tutto quello che possiede. Quest’obbligo può essere però trasformato in giorni di libertà vigilata, con precise tabelle di conversione: un giorno di restrizione della libertà ogni 250 euro. E poi c’è chi non può pagare perché non ha nulla. In quel caso può chiedere al magistrato la «remissione del debito». A due condizioni: dimostrare di essere nullatenente. E aver tenuto una buona condotta in carcere.
Le analisi e la documentazione ufficiale, quella del DAP, ci dicono che un detenuto costa mediamente 3.511 euro al mese. Per il detenuto e le sue esigenze specifiche e proprie, si passa però a 255 euro. Il resto, come si dice, serve per alimentare il circuito penitenziario. Ripeto : sono cifre sulla scorta di documentazione ufficiale; perché se si «naviga» pe siti più o meno attendibili, si deve prendere atto che si danno, letteralmente, i numeri: se ci si attiene ai dati elaborati da «Pianeta carcere» a Rimini un detenuto costa ogni anno 3.384 euro al mese; uno dei sindacati della polizia penitenziaria l’OSAPP, stima al contrario che si possa arrivare a circa 12 mila euro mensili, che mi pare francamente un po’ esagerato, anche se occorre tener presente che sotto la voce “spesa per detenuti” rientra oltre al vitto e l’alloggio anche lo stipendio degli agenti, la manutenzione e la spesa dei veicoli, il costo del personale civile e della mensa. Nel 2012 possiamo attestarci su una spesa di poco più 3.500 euro mensili. 3.100 se ne vano per il pagamento del personale di polizia e civile, mentre il resto copre il vitto e la gestione delle strutture.
Quei 3.100 euro servono per pagare la polizia penitenziaria (poco più di 2.600 euro); per il personale civile se ne vanno circa 394 euro; per il vestiario e l’armamento si usano 22 euro; per la mensa ed i buoni pasto quasi 40 eruo; per le missioni ed i trasferimenti meno di 10 euro; 57 centesimi per la formazione del personale, altrettanti per l’asilo nido dei figli dei dipendenti, 41 centesimi per gli accertamenti sanitari. E ora la quota destinata ai detenuti. La media è di 255, euro e qualche centesimo al mese. 138 euro serve a pagare vitto e materiale igienico. 67 euro per il lavoro dietro le sbarre, poco meno di 7 euro per le attività trattamentali, 41 centesimi servono agli asili nido per i figli mentre il servizio sanitario per i detenuti assorbe a persona 22,81 euro. Dei 3.511 euro spesi al mese, 150,24 vengono impiegati per mantenere la struttura. 110,28 euro servono per le utenze. La manutenzione ordinaria invece costa 8,18 euro con la straordinaria che ne richiede 12,53. Le locazioni valgono 4 euro e 50 mentre le manutenzioni di automezzi 2,51 con l’esercizio che costa 2,52 euro per detenuto. Lo stanziamento complessivo del governo per il 2012 è di 2.802.417.287 euro, in discesa rispetto al 2011 ma più di quanto non stanziato nel 2010. Per il 2013 è rimasto pressoché invariato a quello del 2012.
La maggior parte del denaro speso come abbiamo visto, serve a tenere in vita l’amministrazione mentre il detenuto, in quanto tale, non incide granché.
Si è calcolato che per colazione, pranzo e cena, lo Stato spende ogni giorno, per ogni detenuto, circa tre euro. Moltiplichiamo i tre euro per i 67mila detenuti, e questa cifra per 365 giorni, abbiamo circa 70mila euro l’anno. Ora non v’è chi non sa che chi può, in carcere, il vitto se lo paga, e questo evidentemente perché quello che passa lo Stato non è tra i migliori.
Sempre il DAP ci informa che la Norvegia stanzia ogni anno due miliardi di euro, una cifra inferiore alla nostra. Sarà che i detenuti in quel paese sono di meno, o quello che volete, fatto è che in quel paese si spendono poco più di 12mila euro per detenuto. E la situazione delle carceri, la loro vivibilità, è infinitamente superiore alle nostre. Dopo la Norvegia, viene il Regno Unito, la media in quel paese è di 4.600 euro a detenuto. Poi veniamo noi italiani, e dietro di noi i francesi con 3.100 euro al mese per carcerato.
Dal 2007 al 2010 le spese sono state ridotte del 10 per cento, e in modo diseguale: il personale si è visto amputare un buon 5 per cento del suo budget; riduzione che sale al 31 per cento quando riguarda detenuti e strutture penitenziarie. Complessivamente dal 2001 al 2010 le carceri italiane ci sono costate qualcosa come 29 miliardi di euro. Ho parlato del carcere e del detenuto. Occorre però essere consapevoli che detenuti e carceri sono uno degli aspetti della più generale questione Giustizia; il carcere è il fenomeno più appariscente, ma è l’intero comparto della Giustizia che non funziona.
Il suo cattivo funzionamento, con tutti i suoi errori e le sue lungaggini nei processi ci costa un buon punto di PIL ogni anno. Lo ammette senza mezzi termini il presidente della BCE, ed ex governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, che tempo fa quantificò in diciotto miliardi di euro il costo dovuto alle inefficienze nelle aule di tribunale. Perché c’è un collegamento tra gli errori della giustizia e l’economia italiana, soprattutto se una azienda straniera rinuncia a investire nel nostro Paese per timore di affrontare un eventuale contenzioso che avrebbe tempi infiniti. Per dare un’idea: nei paesi Ocse, in media, occorrono 511 giorni per risolvere una controversia di natura commerciale. In Italia, ne servono 1.210. Le spese legali alla fine assorbono il 30 per cento del valore della causa, in Francia e Germania le stesse spese oscillano tra il 17 e 14 per cento. Il centro studi di Confindustria ha calcolato che se nel periodo 2000-2007 i processi fossero durati la metà del tempo l’Italia avrebbe potuto vantare un incremento di PIL pari a due punti aggiuntivi rispetto agli otto effettivamente registrati.
Solo nel 2011 lo Stato italiano ha riconosciuto risarcimenti per circa 46 milioni di euro per errori giudiziari o ingiuste detenzioni. Questa la situazione, questi i fatti, che richiedono profonde e incisive riforme e coraggiosi provvedimenti. Marco Pannella, ma non solo lui, ritiene che il primo di questi provvedimenti debba essere un provvedimento di amnistia, seguito da un nuovo indulto. C’è chi non è d’accordo. Dicono che così si nega la giustizia, che non è giusto. D’accordo: amnistia e indulto sono sconfitte dello Stato che non sa e non riesce ad assicurare giustizia in tempi rapidi. Ma intanto ci sono circa 500 casi al giorno di procedimenti e di reati che vengono prescritti; sono circa 150mila prescrizioni l’anno che costano allo stato 84 milioni di euro. Faccio solo un esempio: tempo fa a Bologna, nel corso di un’ispezione ordinaria disposta dal ministero della Giustizia, si scoprì che in un armadio, chiusi a chiave e dimenticati, c’erano per 3.300 fascicoli di indagine. Si trattava di furti, ricettazioni, reati ambientali. Tutti caduti in prescrizione.