I grandi giornali europei sembrano impegnati ora soprattutto nel prevedere la fine delle nostre larghe intese (o larghi equivoci, verrebbe da dire proprio in questi giorni!) ma, nelle ultime ore, apprendiamo che si è creato un asse inaspettato tra Angela Merkel, cancelliera tedesca, dopo la giovinezza nella DDr comunista e lo spionaggio della Stasi probabilmente anche su di sè ed ora confermata trionfalmente dagli elettori del suo paese per una sicura prova della grande coalizione con i socialdemocratici, e la presidente brasiliana Dilma Roussef che, da giovane, combatteva la dittatura dei generali e con il presidente messicano Enrique Pena Nieto. Era inevitabile che così succedesse, visto che le notizie sullo spionaggio americano fornite all’ex tecnico dell’Agenzia di sicurezza americana Edward Snowden non destano meraviglia per gli storici che hanno studiato durante e dopo la seconda guerra mondiale quello che è accaduto tra gli Stati Uniti “capitalista” e l’Unione Sovietica prima “staliniana” e poi “semplicemente “(si fa per dire!) comunista fino al fatale e drammatico 1989.
Ma sembrano destarla in chi non ha vissuto quegli anni e si stupisce moltissimo che la National Security Agency, pur dopo la fine del duello tra Washington e Mosca, dopo che a Cuba non c’è più il mitico Fidel Castro ma solo il fratello malinconico Raoul e dopo che in Cina c’è un regime capitalista-comunista e probabilmente lontano dall’una e dall’altra configurazione classica, spii ancora e tenga aperti nel mondo contemporaneo non soltanto a Roma (ne eravamo convinti noi cultori della storia italiana!) ma anche in altre diciotto città europee.
Qualche giornalista ha scritto nei giorni scorsi anche in Italia che tutti quelli che possono spiano ma il problema, direbbe un mio vecchio amico che fa politica attiva, è essenzialmente politico. E resta il fatto, incontrovertibile, che protagonista centrale della vicenda è una delle poche grandi potenze restate in campo mondiale (con la Russia di Putin, la Cina e, a giudicare da quel che succede, anche il Giappone del primo ministro Shinzo Abe che forse ricorda il ruolo di primo piano del suo paese negli anni trenta e quaranta) e che dunque la sua azione non può non preoccupare i paesi alleati importanti di Obama ( come la tedesca Merkel e il francese Holland) ma anche vecchi paesi rivali degli Stati come Cuba di Raoul Castro e il Venezuela di Chavez. In realtà ci sono ormai 21 paesi che-secondo l’autorevole rivista americana Foreign Policy – stanno preparando una risoluzione dell’Assemblea delle Nazioni Unite e tra di esse ci sono grandi, medi e piccoli paesi come Germania, Francia, Messico, Argentina, Austria, Bolivia, Ecuador,Guyana, Ungheria, India, Indonesia, Leichestein, Norvegia, Paraguay, Sudafrica, Svezia, Svizzera, che vogliono rivedere le relazioni tenute finora con gli Stati Uniti in materia di servizi segreti. Il Consiglio dell’Unione Europea, di cui l’Italia è membro dall’inizio, si è chiuso venerdì scorso con una dichiarazione in cui si afferma, con l’intervento esplicito dei governi di Parigi e Berlino, che è urgente presentare la risoluzione all’assemblea dell’ONU contro lo spionaggio, sottolineando il fatto che è ormai accertato che i telefoni di 35 leader mondiali (tra cui quello di Angela Merkel) sono stati intercettati dalla NSA.Così tutto continua ad accadere secondo i vecchi moduli della guerra fredda in cui il paese egemone-appunto gli Stati Uniti-spiano gli alleati e questi nulla possono fare per sfuggire al meccanismo messo in atto da quella potenza.
Come accade spesso, il diavolo – è un vecchio problema – sta nella coda, visto che le mozioni approvate dall’assemblea delle N.U., a differenza di quelle del Consiglio di Sicurezza, non sono vincolanti ma in questi giorni si afferma che, nel caso in cui ricevano un ampio consenso internazionale, possono acquisire un forte consenso politico. E quindi, qualora questo avvenisse, potrebbero costringere gli Stati Uniti ad abolire la prassi adottata fino ad ieri. E’ quello – dobbiamo aggiungere – che dovremmo sperare non solo in ossequio alla Convenzione Internazionale sui diritti civili e politici approvato dalle Nazioni Unite del 1976 ma anche rispetto a una concezione moderna della libertà che proprio la democrazia ha inserito in gran parte delle costituzioni europee dopo la seconda guerra mondiale, cioè più di settanta anni fa.