Rifondare la Rai e non venderla per fare cassa

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Qualche mese fa Mediobanca ­ non si sa su richiesta o indicazione di chi, non ha mai voluto rivelarlo ­ si è cimentata in un¹impresa non facile: stabilire il valore di mercato della Rai, nel caso qualcuno pensasse di comprarla. Ebbene la conclusione fu che l’azienda di viale Mazzini potrebbe essere venduta per 2,5 miliardi di euro. Quei 2,5 miliardi, probabilmente, hanno colpito nel segno e oggi girano negli occhi del governo come i dollari negli occhi di Paperon depaperoni. Non riesco a spiegare altrimenti l¹improvvida uscita di Fabrizio Saccomanni, ministro del Tesoro, in un¹intervista a Che tempo che fa.

Ora è vero che entro l¹anno il governo si è impegnato a privatizzare il possibile per coprire i buchi del debito pubblico, ma non è certo immaginando di vendere (o svendere) la Rai che porterà a casa anche solo un euro. Si tratta di un¹azienda che va completamente ripensata. Che come tutte le imprese del mondo dei media deve vedersela con una rivoluzione devastante. Eh si! Perché il meteorite Internet, simile a quello che fece scomparire i dinosauri, sta provocando un cambiamento radicale in tutto l’ecosistema mediatico. La digitalizzazione del mondo sta coinvolgendo e sconvolgendo carta stampata, radio, cinema e televisione. Si anche la televisione, considerata il mezzo più potente e ricco! Chi ha fatto fino a oggi il mestiere del broadcaster sa che deve rapidamente convertirsi in una media company. In questo scenario che senso ha pensare di vendere? Prima bisogna comunque pensare a come riorganizzare. Rispondendo ad alcune domande strategiche. Ha ancora senso tenere il possesso delle torri che distribuiscono il segnale? E’ giusto che l’informazione di un servizio pubblico sia oggi strutturata come ai tempi della Prima Repubblica, con una rete alla Dc, una al Psi e una al Pci? Qualcuno si è accorto che anche il mondo della politica è cambiato? Può davvero il canone coprire gran parte delle spese, non più di tre ma di quindici canali televisivi?

Insomma da un ministro del Tesoro serio ed esperto come Saccomanni, che viene dalla Banca d’Italia, ci si deve aspettare più realismo e concretezza. Prima di pensare a vendere, il governo dovrebbe impegnarsi a cambiare l’attuale legge, a mettere in campo una governance con la missione di rifondare la Rai nell’epoca del digitale. Altrimenti l’idea lanciata in tv da Fabio Fazio, assomiglia tanto a un ennesimo colpo basso. Viene dopo quelli di Brunetta (sugli stipendi e sul compenso dei collaboratori), dopo quelli di Grillo (vendere due reti su tre ­ peccato che oggi le reti sono quindici), dopo il pasticcio del vice ministro Catricalà sul rinnovo del Contratto di servizio (un bollino blu per distinguere i programmi di servizio pubblico dagli altri ­ l’intrattenimento considerato come estraneo al servizio pubblico).

Non sarebbe meglio che il governo invece di giocare con la Rai come con un punchy ball, si preoccupasse di ridefinire il ruolo di un servizio pubblico che da televisivo deve diventare audiovisivo? C’è o no ancora bisogno di immaginare il servizio pubblico come un elemento portante della società del welfare di oggi?

* Il Secolo XIX


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