Silvia Manderino *
Tocco magistratiDa qualche tempo e insistentemente viene fatta circolare l’idea che l’Italia sia in grave difetto nelle relazioni con l’Unione Europea per la mancanza nella normativa italiana di una diretta responsabilità civile dei magistrati .
Ultimo, in ordine di tempo, è stato l’attuale presidente del consiglio, on. Letta, che lo scorso 2 ottobre, nel suo discorso al Parlamento che ha poi dato luogo alla rinnovata fiducia, ha impegnato il governo affinché l’Italia si allinei alle regole della Corte di Giustizia Europea, regole che imporrebbero – secondo il tenore del suo discorso – l’introduzione di una normativa che sancisca nei confronti dei cittadini danneggiati la responsabilità, non dello Stato italiano, ma direttamente dei singoli magistrati che emettono provvedimenti.
“L’Europa ci chiede….” è il solito refrain, già noto in materia economica.
Musica per le orecchie dell’altra forza politica che sta al governo: esponenti del PDL ce la stanno mettendo tutta per diffondere l’informazione secondo cui l’Italia dovrebbe adeguarsi alle regole della UE prevedendo la responsabilità diretta dei magistrati.
Niente di più falso. L’Europa non ci chiede proprio niente.
O meglio, qualcosa ci chiede, anzi, pretende: il pagamento di una pesante sanzione pecuniaria – posta a carico dello Stato italiano, dunque di tutti i cittadini – per il mancato adempimento degli obblighi imposti da una sentenza della Corte di Giustizia Europea.
La procedura di infrazione è avviata da una decina di giorni.
E sfocerà nell’obbligo di aprire le casse dello Stato.
A questo punto è necessario conoscere la legge italiana e spiegare cosa è realmente successo.
Dal 1988 una legge italiana, la n. 117, riconosce a chiunque il diritto di agire contro lo Stato quando abbia subito un danno ingiusto da un comportamento, un atto o un provvedimento giudiziario di un magistrato nell’esercizio delle sue funzioni.
Per potere invocare la responsabilità dello Stato occorre che il provvedimento sia stato adottato con dolo o colpa grave o per diniego di giustizia.
Non dà luogo a responsabilità – precisa poi la normativa – l’atto giudiziale che sia frutto di un’attività di interpretazione di norme di diritto o di valutazione del fatto e delle prove.
Il principio è il seguente: lo Stato italiano risponde direttamente dei danni causati da provvedimenti giudiziali emessi con dolo, o con colpa grave o per diniego di giustizia.
Sarà poi lo Stato a rivalersi nei confronti del magistrato, sia nel caso di una sua responsabilità penale (il codice penale si applica a chiunque), sia in termini di responsabilità disciplinare (le regole disposte per l’esercizio della funzione giurisdizionale).
In questo l’Italia è perfettamente allineata agli altri Paesi della Comunità Europea che prevedono tutti la responsabilità diretta dello Stato verso il cittadino che ha subito il danno; anzi, rispetto ad alcuni prevede più rigorose conseguenze con la rivalsa dello Stato verso il singolo magistrato (per esempio, in Francia e in Belgio la rivalsa dello Stato è prevista solo nei casi di dolo intenzionale o frode del magistrato, nei Paesi Bassi la responsabilità è solo in capo allo Stato e non è prevista alcuna rivalsa nei confronti del magistrato).
Nel febbraio 2009 – facendo seguito ad una sentenza della Corte di Giustizia Europea del 13.6.2006 (causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo, Racc. pag. I-5177) – la Commissione Europea inviava una lettera alla Repubblica Italiana dichiarando che il nostro Paese era venuto meno agli obblighi derivanti dal “principio di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado”.
Chi e perché si è reso inadempiente nei confronti dell’Unione Europea?
Inadempiente è lo Stato italiano (nella fattispecie il Parlamento – altrimenti noto come “il legislatore”), perché la L. 117/1988 non prevede la responsabilità dello Stato membro in tutti i casi in cui provvedimenti dei suoi magistrati abbiano violato il diritto dell’Unione (quando la violazione risulti dall’interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e prove) e perché limita tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave.
In poche parole, la violazione posta in essere dal nostro Paese è consistita nel non avere previsto nella legge (e in altri casi avere anche limitato) la responsabilità diretta dello Stato nei casi in cui ad essere violata con il provvedimento del magistrato sia una norma del diritto comunitario.
L’UE non ha mai imposto all’Italia di sancire per legge la responsabilità diretta del magistrato, imposizione che sarebbe inattuabile considerato che ogni Stato decide autonomamente a chi attribuire la responsabilità dei danni causati da un atto giudiziale.
L’UE ha solo imposto, e ora sanziona l’inadempienza da parte dell’Italia, che la responsabilità civile dello Stato causata da atti giudiziali venga espressamente prevista anche nei casi in cui vi sia stata violazione (non solo delle norme nazionali dello Stato membro ma anche) delle norme comunitarie.
Il 9 ottobre 2009 (in corso il governo Berlusconi) la Commissione Europea ha trasmesso una lettera di diffida alla Repubblica italiana, che è rimasta senza risposta.
Il successivo 22 marzo 2010 (in corso il governo Berlusconi) è pervenuto anche un parere motivato, con cui il nostro Paese veniva invitato dalla Commissione ad adottare entro due mesi le misure necessarie per conformarsi alla decisione.
Nessuna risposta dall’Italia.
Cosicché la Commissione Europea ha promosso ricorso contro la Repubblica Italiana dando avvio ad un procedimento che si è concluso con sentenza 24.11.2011 (causa C-379/10) con la quale ha definitivamente accertato la violazione da parte dell’Italia degli obblighi comunitari, con ogni conseguenza in ordine alle sanzioni economiche che il nostro Paese dovrà pagare una volta ultimata la procedura di infrazione avviata alla fine dello scorso mese di settembre.
Questa è la realtà delle cose, con le fonti e i documenti pubblici accessibili a chiunque li voglia cercare in rete.
Dunque, perché mentire all’opinione pubblica?
Perché esponenti di entrambe le maggiori forze politiche del Paese falsificano notizie così importanti?
Perché l’Italia non si è adeguata alla sentenza della Corte di Giustizia europea?
E’ solo ignoranza o plateale incompetenza, peraltro entrambe ingiustificabili?
E’ qualcos’altro.
E’ il tentativo mai sopito di introdurre nel nostro Paese normative contrarie al principio costituzionale di indipendenza ed autonomia della magistratura.
L’Unione Europea viene strumentalizzata ad uso e consumo di questi tentativi.
Nessuno Stato delle democrazie occidentali prevede una responsabilità civile diretta del magistrato nei confronti del singolo cittadino che si ritiene danneggiato da un suo atto, e ciò per un motivo di rara semplicità: nelle cause civili un provvedimento giurisdizionale è sempre emesso a favore di una parte e contro un’altra, nei processi penali è accertamento positivo o negativo di una responsabilità penale.
Inevitabilmente, ogni atto giudiziale potrebbe dar luogo a una presunta responsabilità civile del magistrato che l’ha adottato.
E dunque, qualunque magistrato si troverebbe condizionato nella decisione, non più libero di deliberare secondo giustizia.
Affermare che debba essere il singolo magistrato a rispondere per eventuali danni causati con un suo provvedimento significherebbe annullare l’indipendenza della magistratura, una delle irrinunciabili garanzie costituzionali su cui si fonda l’ordinamento di uno Stato; in forza di quello che appare essere l’auspicio di molti politici menzogneri, la magistratura non sarebbe più in grado di consentire ai cittadini che vi si rivolgono la semplice realizzazione della giustizia.
La responsabilità diretta dello Stato, principio consacrato in tutti gli ordinamento giuridici dei Paesi membri dell’Unione Europea, non elimina la responsabilità (penale e disciplinare) del singolo magistrato, che rimane intatta come per ogni cittadino; soprattutto, consente ad ogni cittadino di ottenere una sicura risposta alla sua domanda di giustizia.
* L’autrice è avvocato della Rete per la Costituzione