“Siamo sconcertati dalla passività di RAI di fronte all’ingiustificato atteggiamento dell’on. Prof. Renato Brunetta nei confronti di Fabio Fazio nella trasmissione “Che tempo che fa” del 13 ottobre, passività mantenuta nonostante i ripetuti solleciti ad emettere una nota ufficiale. Il silenzio della Dirigenza ci obbliga a un intervento, che avremmo volentieri evitato, per ristabilire la correttezza su alcuni fatti”. L’on. Brunetta ha accusato Fabio Fazio di non dire il vero quando questi chiariva che il suo programma – lungi dall’alimentare il “buco” di bilancio o sprecare soldi pubblici – si ripaga con la pubblicità. Eppure, stando alle informazioni di cui disponiamo come amministratori, Fazio ha detto il vero, anzi, “Che tempo che fa” addirittura guadagna – come ha sottolineato ieri anche la collega Todini”. Lo scrivono in una nota i consiglieri d’amministrazione Rai Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi.
“L’on. Brunetta ha accusato la Rai di violare la legge, perché non pubblica i compensi dei suoi artisti e conduttori. Ma in verità non esiste un obbligo dell’azienda a tale pubblicazione. La legge (decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33) obbliga le amministrazioni pubbliche, per trasparenza, a fornire dettagli anche sulle cifre dei compensi di dirigenti e collaboratori. Ma, secondo due ordinanze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (ordinanze n. 28329 e 28330 del 22 dicembre 2011), Rai non è “in alcun modo annoverabile tra le pubbliche amministrazioni”, come definite ai sensi di altre norme. La Rai è un “ibrido”: società per azioni di diritto privato che agisce commercialmente in un mercato concorrenziale, però ad azionariato completamente pubblico. Il problema andrebbe affrontato nelle sedi opportune, certo. Ma intanto l’obbligo di pubblicare tutti i compensi non sussiste. In proposito si è visto in questi giorni come la divulgazione di dati, peraltro non verificati, abbia causato la rottura della trattativa con un noto artista. I compensi sono dati sensibili la cui divulgazione può alterare pesantemente la concorrenza nel settore radiotelevisivo, già gravato dalla cappa del conflitto d’interessi, e danneggiare la Rai (quindi anche e soprattutto i contribuenti che pagano il canone). Solo incidentalmente notiamo che il tema della tutela della libera concorrenza dovrebbe essere tenuto particolarmente presente dal capogruppo del partito capeggiato dal maggiore azionista del principale concorrente della Rai. In ordine alle polemiche sulle produzioni esterne, alimentate nei giorni successivi, possiamo affermare che, con il piano industriale, Rai ha intrapreso un percorso per la massima valorizzazione e razionalizzazione delle risorse interne. Il percorso richiede tempo e fatica, e gli attacchi gratuiti non aiutano a farlo procedere”.