L’indignazione é un sentimento che dovrebbe essere riservato a chi non ha il potere di cambiare le cose. Per gli altri può esserci solo il rimpianto, di non aver scelto o di aver deciso male. Siamo stanchi di piangere morti. Siamo stanchi di riuscire a parlare di immigrazione solo in occasioni tragiche, mentre assistiamo, con indifferenza, alla continua strage di diritti umani che impunemente si compie ogni giorno nei CIE. In una giornata amara come questa, dove siamo colpiti da una tragedia enorme nelle acque di casa nostra, abbiamo il dovere di esprimerci con chiarezza e determinazione, provando a fare quello che una classe politica dovrebbe fare: guardare verso un orizzonte più ampio. Invocare l’aiuto dell’Unione europea nella gestione del fenomeno migratorio, ha sempre avuto il sapore dell’alibi per mascherare le proprie inefficienze. Veniamo da anni in cui gli italiani hanno accettato che la condizione di migrante fosse di per se un reato, dimentichi del nostro recente passato (e del nostro presente).
Pretendiamo che l’Europa non lasci sola l’Italia ad affrontare la marea di disperazione che viene dal sud, ma lo stato centrale fa la stessa cosa con le proprie “terre di confine”, come Lampedusa. Abbiamo accumulato un forte deficit di credibilità su questo tema, che possiamo recuperare soltanto in due modi: cancellare immediatamente la legge Bossi-Fini e le tante “prigioni di Guantanamo” sparse per la penisola; proporre all’Europa un piano credibile per l’integrazione e la gestione dei flussi migratori.
É evidente che la politica di stampo leghista (ma condivisa anche da altri, anche a sinistra) non funziona. Sbarrare le porte non ha mai fermato nessuna migrazione, perché si migra, si scappa per forze maggiori: la fame, la guerra, la speranza.
Ma anche le politiche europee non sono esenti da critiche. L’Europa risponde al fenomeno della migrazione con il Frontex (peraltro con scarsi strumenti), vale a dire l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’unione europea. Che tradotto vuol dire: rafforzamento del controllo delle frontiere, pattugliamenti, rimpatri. É evidente che non si possa accogliere tutti, ma é altrettanto evidente che questo modo di gestire il problema é troppo costoso, in termini di vite umane (per i migranti), di dignità (per noi). Ragioniamo, invece, su un ufficio europeo per l’immigrazione nei posti di confine, di un Italia porto d’Europa verso il sud. Condividiamo i problemi, saremo più forti nel cercare le soluzioni.
Ed invece l’Europa politica continua a percepirsi solo come un mercato. Sceglie di essere austera, ignorando la fame dei suoi cittadini, sceglie di essere invalicabile con chi cerca una opportunità. Le politiche di controllo delle frontiere, così come sono concepite oggi non fermano le persone, ma i loro diritti. Le nostre pagine di cronaca sono colme di sfruttamenti e di morti di lavoratori senza nome e dalla nazionalità incerta. Questa Europa si nutre di schiavi, mentre proclama diritti. Lo ripeto in ogni sede oramai, perché da qualunque punto si parta si arriva allo stesso nodo: trasformare l’Europa dei mercati nell’Europa dei cittadini.