Signor ministro,
come Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese vorremmo intervenire sulla sua recente visita ad Hebron ( Al Khalil, in arabo,) una delle città palestinesi più antiche ed importanti, e che, per decenni, è stata anche una delle forze economiche trainanti in Cisgiordania, nel settore manifatturiero e tessile, prima che tutta la economia palestinese venisse soffocata e subordinata a quella israeliana.
Come lei saprà la situazione della popolazione palestinese della città peggiorò allorché, nel’68, dopo la Guerra dei Sei Giorni, in una parte di essa si insediò un gruppo di 30 coloni guidati dal rabbino di Brooklyn Moshe Levinger, i quali, dopo aver occupato il Park Hotel nella centro storico della città, costruirono, col consenso del governo israeliano, la nuova città di Kiryat Arba, nella periferia di Hebron. Poi, nel 1979 Miriam Levinger, la moglie del rabbino Levinger, condusse un gruppo di 40 donne e bambini da Kiryat Arba di nuovo dentro il centro storico di Hebron per occupare il vecchio ospedale di Beit Hadassah che divenne la prima colonia israeliana nel cuore di una città palestinese.
La sfida nei confronti degli abitanti palestinesi continuò e si aggravò, finchè nel 1994, il fanatico israeliano Baruch Goldstein uccise 29 palestinesi durante la preghiera del mattino nella Moschea di Abramo, che ambedue le parti rivendicano, perché lì si trova la Tomba di Abramo. Con il Protocollo di Hebron, parte degli accordi di Olso del ’94, la città venne divisa in due: H1, sotto controllo militare e civile palestinese, e H2, sotto quello israeliano. Oggi, nel centro storico, che era una volta il cuore sociale ed economico di Hebron, vivono circa 500 coloni in cinque diversi insediamenti che spezzano in due la città e impediscono il collegamento diretto tra i quartieri palestinesi a Nord e quelli a Sud e 2000 soldati.
La Città Vecchia è divenuta così una vera e propria “città fantasma”: in H2, infatti, oltre mille abitazioni palestinesi, il 41,9% del totale, sono ora vuote, mentre il 96% dei 10.000 residenti è stato costretto a lasciare l’area: perché le proprie case sondo state occupate dai coloni, perché l’esercito ha chiuso i loro negozi, perché le violenze subite li hanno costretti a fuggire. L’obiettivo dei coloni e delle autorità israeliane è stato così parzialmente raggiunto: rendere la vita impossibile ai palestinesi e costringerli ad abbandonare le loro case in centro.
Per recarsi a visitare la città vecchia, lei ha percorso Shuhada Street, una via che è interdetta al passaggio dei palestinesi, simbolo dell’Apartheid che vige in Palestina, tanto che i pochi palestinesi che ancora resistono, spesso non possono neppure accedere normalmente alle proprie case, perché la porta di entrata da sulla via interdetta, e quindi devono passare dalle finestre, o attraverso i tetti. Oltre a ciò, numerose sono le invasioni e perquisizioni notturne delle case da parte dei soldati israeliani, mentre sia adulti che bambini vengono spesso aggrediti senza alcun motivo dai coloni, tanto che nel tempo, tra i Palestinesi si sono avuti molti feriti ed anche morti
Perchè allora, lei, Signor Ministro ha mostrato attenzione e comprensione per i coloni, e per i loro supposti pericoli, quando la verità è completamente diversa? Perché non ha visitato le case dei palestinesi assediati?Perchè non ha raccontato anche di loro sul suo Blog?
Noi pensiamo che lei Signor Ministro queste cose le conosca bene, ma non ne parla, perché Israele è il finto paese democratico che non si può criticare: non certo per il rimorso rispetto a quanto subito dagli europei di religione ebraica, ma perché Israele rappresenta la forza e l’avamposto dell’occidente in Medio Oriente, perché Israele è il paese con cui si fanno accordi economici e scientifici, tra i quali molti attinenti alle armi e alle tecnologie, con cui Israele occupa e reprime la popolazione palestinese a Gaza, in Cisgiordania ed in Israele.
In questo modo, tra l’altro si oscura la vera natura e la profondità della cultura ebraica, che Israele così male rappresenta, e che tutti noi amiamo e rispettiamo.
Ma c’è un altro aspetto che lei non ha considerato, o di cui comunque ha taciuto, e che è molto attinente alla materia di cui lei si occupa: lo sforzo che i palestinesi di Hebron fanno per rimettere in piedi l’ eredità culturale ed architettonica palestinese, ricostruendo e riportando in vita le antiche case del centro, distrutte dall’esercito durante la seconda Intifada, o restaurando le case abbandonate in fretta e furia dai residenti originari. Questo progetto, che ha permesso il ritorno di 6000 abitanti originari, è portato avanti dai giovani dell’Hebron Rehabilitation Committee, che dal 1996 ricostruiscono e restaurano, con tenacia ed assiduità, le vecchia case del centro occupato da militari e coloni.
Certo, non sono soli nel loro lavoro, perché, in questo caso, sono supportati dalla ANP, da alcuni Governi europei e da istituzioni internazionali, ma sono soli nell’affrontare le insidie, i pericoli e gli attacchi quotidiani che mettono in essere coloni e militari. Perché lo sforzo del comitato va in contrasto con l’obiettivo delle autorità israeliane, perseguito attraverso i coloni, di strangolare le attività palestinesi e di occupare tutta Hebron; e per fare questo, qui, come in tutta la Cisgiordania, continuano a creare connessioni stradali e vie di comunicazione dirette tra le colonie, e a creare continuità dentro le colonie stesse, attraverso il collegamento spaziale degli edifici occupati.
Vorremmo anche ricordarle, che, nella cosiddetta firing zone, nelle colline a Sud di Hebron, circondate da insediamenti di coloni, si sta svolgendo un’altra lotta di resistenza: è quella dei beduini e degli abitanti di 15 villaggi, contro i quali da anni Israel conduce una campagna fatta di intimidazioni, distruzione di tende, campi, case, piccole moschee, scuole, pozzi per costringerli ad abbandonare i terreni ed i villaggi dove hanno vissuto da generazioni. In quest’area si svolge una continua lotta tra l’esercito israeliano che distrugge ed i palestinesi che ricostruiscono. La lotta dei palestinesi è per la vita ma è anche per salvaguardare un modo di vivere che è rispettoso della natura e di tutti i suoi abitanti, animali ed esseri umani. Un modo di vivere che noi non riusciamo ormai più nemmeno a percepire.
A conclusione di questa nostra lettera, le chiediamo un incontro, nel corso del quale vorremmo anche offrirle la guida storico-turistica: Palestina&Palestinesi, mentre di seguito riportiamo alcune significative testimonianze ed un link tratto da BBC World, in cui, sulla situazione impossibile di Hebron, si esprimono quattro diversi testimoni, tra cui anche un ex soldato dell’esercito israeliano.
Loretta Mussi, della Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese *
Testimonianze
Uri Avnery, Ex membro del parlamento israeliano
“In qualsiasi altro Paese al mondo sarebbero considerati dei fascisti… se non peggio. Sono un gruppetto di circa 500 persone il cui scopo nella vita è cacciare 160.000 palestinesi… Questa gente che è arrivata 30 o 40 anni fa dall’Europa considera gli abitanti di Hebron che sono lì da 5000 anni degli stranieri”.
Yehuda Shaul, Ex soldato israeliano e fondatore di “Breaking the Silence”
“Durante le prime due o tre settimane che siamo arrivati ad Hebron e siamo andati nel centro storico siamo rimasti tutti scioccati. Camminando per le strade ci siamo trovati di fronte dei graffiti che probabilmente suonano più familiari in Germania che a noi come “ARABI NELLE CAMERE A GAS”, “AL GAS GLI ARABI”, “FUORI GLI ARABI” con la stella di Davide al centro. All’inizio un gruppo del mio plotone ha pensato di rifiutarsi di prestare servizio ad Hebron. Eravamo scioccati. Non potevamo credere a quello che vedevamo”. Vedi anche link:http://www.dailymotion.com/video/x15qugi_the-interview-yehuda-shaul-co-founder-breaking-the-silence_news,
David Wilder, Portavoce dei coloni di Hebron
“Io non lo chiamo un militare. Yehuda Shaul che conduce questi gruppi è un… in qualsiasi paese normale verrebbe processato per tradimento e impiccato. Sfortunatamente Israele non ha ancora raggiunto questo livello di giustizia”
Osaid Rasheed, Residente palestinese di Hebron
“I soldati israeliani stanno sostenendo e proteggendo dei coloni criminali che attaccano la gente, le sparano, la uccidono, non le permettono di tornare a casa, che picchiano i bambini palestinesi. Come palestinese che vive ad Hebron non voglio vedere i miei figli feriti, non voglio vedere le mie sorelle e i miei fratelli picchiati da coloni armati. Credo che il problema sia facile da risolvere ma non capisco cosa stia impedendo al Governo israeliano di farlo”.
(*) La Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese, collega con un tenue legame informativo ed organizzativo molte associazioni, gruppi e comitati nonché alcune decine di singole persone che sostengono, ciascuno con la propria identità e secondo il proprio specifico punto di vista, la lotta di liberazione del Popolo Palestinese