Lizzani innovò profondamente il modello della Mostra del Cinema

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Scompare con Carlo Lizzani non soltanto il regista di Achtung banditi, di Cronache di poveri amanti, di molti altri film, di riduzioni televisive. Non scompare soltanto il saggista, autore tra l’ altro di una importante Storia del Cinema italiano, ma scompare una personalità straordinaria per lucidità intellettuale, sensibilità e capacità di lettura dei fenomeni sociali. Aveva una sensibilità unica nel cogliere quel che si muoveva nell’epoca in cui viveva. Con lui scompare soprattutto un modello di organizzatore e di creatore di eventi culturali di risonanza internazionale che anche a distanza di anni è in grado di indicare direzioni di lavoro, riflessioni ricche di stimoli.

Per capire bene Carlo Lizzani bisogna fare un passo indietro, avere il coraggio di risalire indietro di qualche decennio, al 1979, quando prese la direzione della Mostra internazionale di Arte Cinematografica, disastrata dall’interruzione portata nel periodo che per comodità definiamo il “68”, che permise a Cannes di spiccare il volo, prendere distanze che Venezia non avrebbe mai più recuperato.
La sua autorevolezza, la sua capacità di mediazione, di rendere accettabili, di creare consenso sulle sue idee, sulle sue proposte, lo portò a innovare profondamente il modello della Mostra del Cinema, innovazioni che altri, spiace dirlo, non seppero poi portare avanti. In chi ebbe la fortuna di lavorare con lui e, come nel mio caso, di essere professionalmente lanciato da lui nel campo della comunicazione culturale, era chiaro che la sua azione si muoveva all’ interno di un disegno politico che aveva alle spalle una solidità culturale unica per profondità e ricchezza di orizzonti.
Aveva una straordinaria capacità di interpretare la situazione sociale, il pubblico a cui si rivolgeva, le esigenza del mondo del cinema. Aveva la libertà di muoversi al di fuori degli schemi, sapeva attivare energie, circondarsi di collaboratori vivi, stimolanti, creativi. Poteva permetterselo perché, intellettualmente ricco com’era, dal loro valore non si sentiva minacciato. Sempre padrone della situazione era in grado di affrontarne i conflitti e le piccole rivalità che nascono all’interno di ogni gruppo sociale, di trasformare tutto in un gruppo fortemente motivato che portò la Mostra di quegli anni a un successo di notevole valore.
Capì perfettamente che la Mostra non poteva ridursi alle proiezioni nelle sale. Tra lo scetticismo anche dei suoi stessi collaboratori, creò Veneziamezzanotte che divenne subito un fenomeno sociale, un affollarsi di giovani, di un pubblico che a quell’ ora della notte accorse numerosissimo nelle sale, in modo così massiccio che spesso, finita una proiezione, passate le due di notte se ne doveva dare una replica anche quella piena di gente. C’era un entusiasmo un entusiasmo attorno a quelle proiezioni al quale da tempo non si era abituati. In quella sezione aprì al cinema americano, ai grandi film popolari e tecnologici di autori come Lucas. La Mostra, cui restituì i premi che il “68” aveva abolito, era la scelta dei film, la qualità delle opere proposte, ma anche la passione che sapeva suscitare, l’ eccitazione piena di vita che portava la gente ad affollare le sale, a circondare il Palazzo del cinema, a riempirlo di vita.
Poté far questo perché aveva il senso della vita. Per lui, vita, cultura, il piacere di incontrare le persone, di ascoltarle, di saper suscitare tutto ciò che di positivo c’ era nel pubblico, erano un tutt’uno. Fu unico e rimane tutt’ora un modello di vita legata all’azione culturale sul quale vale la pena di riflettere. Le questioni che ha posto sono tutt’ora vive e inevitabili. Ricordarlo solo con parole d’occasione sarebbe una sciocchezza.


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