Oggi il fascismo non ha il cipiglio del Duce né va in giro vestito con il fez e l’orbace, non si allea con Hitler, non emana leggi razziali, non compie rappresaglie e non spedisce i dissidenti in carcere o al confino; tuttavia esiste, altroché se esiste! Oggi il fascismo ha il volto sorridente e i lineamenti gentili di Marine Le Pen, le idee razziste, xenofobe e anti-europeiste dei vari partiti e movimenti contrari all’immigrazione, alla moneta unica, agli accordi di Schengen sull’apertura delle frontiere e a tutto ciò per cui si batterono con coraggio e straordinaria lungimiranza i padri fondatori dell’Europa unita negli anni immediatamente successivi alla catastrofe bellica.
Oggi il fascismo vince perché parla chiaro e mira dritto al cuore delle persone: dei ceti sociali più deboli, dei precari, dei giovani senza lavoro, senza diritti, senza futuro e senza prospettive, di chi si sente minacciato da un’Europa percepita più come matrigna e fonte di oppressione che come madre e fonte di speranza. Vince perché urla, perché è sguaiato, perché dimostra di non aver paura di niente e di nessuno, perché non si ferma davanti alle barriere del buon gusto e della correttezza politica; anzi, mira ad abbatterle senza pietà, additando chiunque cerchi di difenderle come conservatore, servo dei mercati e della tecnocrazia di Bruxelles e, soprattutto, nemico del popolo e incurante delle sue esigenze.
È così che ci ritroviamo il Front National al ventiquattro per cento nei sondaggi in Francia, l’UKIP intorno al venti in Gran Bretagna e i loro fratelli minori in doppia cifra, spesso anch’essi prossimi al venti, in numerosi stati europei, compresa l’Italia, dove però, per via del nostro tradizionale europeismo e della nostra naturale tendenza alla moderazione, le pulsioni anti-europeiste si manifestano in forme più soft, meno dirompenti e tuttavia agghiaccianti, soprattutto se pensiamo a proposte come il referendum per uscire dall’euro o alle riflessioni (si fa per dire) di determinati esponenti politici e guru al seguito sul tema dell’immigrazione e dell’accoglienza dei disperati che fuggono da fame, guerra e miseria.
Ha ragione, dunque, Hollande quando lancia l’allarme sulla possibile composizione del prossimo Parlamento europeo, asserendo che “potrebbe essere composto in larga parte di antieuropeisti” e che ciò potrebbe comportare “una regressione e il rischio di una paralisi”. E ha ragione da vendere anche quando afferma che “non si tratta di pronunciarsi pro o contro l’Europa. Si tratta di scegliere fra due progetti europei: l’austerità prolungata o la crescita duratura, la concorrenza o la regolamentazione, le misure a breve termine o la transizione ecologica. E poi bisogna rivendicare quello che l’Europa è stata capace di fare: la crisi finanziaria è stata domata, l’euro è ancora in piedi, l’unione bancaria ci proteggerà da altri scossoni e la Banca Centrale Europea ha agito piuttosto bene. L’Europa ha tenuto”.
Tutto vero, caro Hollande, un ragionamento che non fa una piega! Peccato che, come detto, la Francia sia uno dei paesi in cui la marea nera sta salendo con maggior rapidità, direi quasi a ritmo vertiginoso, al punto che il Front National, nei sondaggi, supera sia la destra gaullista dell’UMP sia il Partito Socialista dello stesso Hollande (in questo caso con un distacco preoccupante: 24 per cento contro il 19 dei socialisti).
Non solo: domenica scorsa, alle Cantonali di Brignoles, Laurent Lopez, candidato del Front National, ha sconfitto Catherine Delzers, la candidata dell’UMP, infliggendole un distacco di quasi otto punti; il che induce seriamente a temere che alle Amministrative di marzo e, peggio ancora, alle Europee di maggio mezza Francia e una parte consistente del Parlamento Europeo potrebbero tingersi di nero.
Perché ai cittadini di qualunque paese del mondo non basta, non può bastare l’elogio dell’Europa bella e buona quando l’Europa, intesa come vertici decisionali, non fa nulla per non farsi percepire dalla popolazione dei singoli stati come un cappio al collo, un freno alle speranze di ripresa, crescita e sviluppo, un bel progetto svanito e oggi incapace persino di accogliere degnamente i disperati in fuga dalla miseria e dalla guerra, una maestrina dalla penna rossa pronta a bacchettare i singoli stati in caso di sforamento del tetto del tre per cento del rapporto deficit/PIL ma, al tempo stesso, incapace di assumersi le proprie responsabilità sotto forma di incentivi ed eurobonds.
Come abbiamo cercato di spiegare già altre volte, non si può chiedere un voto europeista e responsabile al precario o al disoccupato costretto a vivere con i genitori perché nessuna banca è disposta a concedergli un mutuo. E la sinistra non può continuare a ignorare questi drammi, a dividersi, a far finta che non esistano o che, se pure esistono, non siano poi così gravi perché è vero esattamente il contrario.
La verità è che, purtroppo, la sinistra, ad ogni latitudine, ha smarrito le sue parole d’ordine (persino nella Patria che ha regalato al mondo l’esortazione alla libertà, all’uguaglianza e alla fratellanza), dapprima adottando quelle della peggior destra neo-liberista e oramai rassegnandosi al nulla, al vuoto, all’inconsistenza di un messaggio privo di passione, incapace di suscitare speranza o anche solo di confortare chi si vede ogni giorno di più scivolare verso la povertà e l’emarginazione sociale.
Non è un caso, poi, che le parole d’ordine dei nuovi dominatori d’Europa (e anche degli Stati Uniti) siano drammaticamente simili da un paese all’altro: semplificazione dei messaggi, attacchi costanti alla casta, un continuo sparare nel mucchio, una denuncia senza tregua di tutti i casi di corruzione che si abbattono sui partiti tradizionali, una certa sagacia nell’instillare nei cittadini l’idea che quello che un tempo era chiamato l’“arco costituzionale” (in Italia) o il “fronte repubblicano” (in Francia) sia composto da formazioni che oramai sono la stessa cosa, tanto che la Le Pen parla con disinvoltura di UMPS, unendo le sigle di UMP e PS.
In effetti, l’ultima volta che il “fronte repubblicano” ha avuto la meglio sul “partito del Diavolo”, allora guidato da Le Pen padre, era il 2002, quando alle Presidenziali assistemmo a un tragico confronto fra l’ultimo gaullista Chirac e il sempre fascista Le Pen. All’epoca, sia pur con le lacrime agli occhi, la sinistra, ferita per l’eliminazione al primo turno di Jospin ma decisa a respingere l’assalto di un personaggio considerato, a ragione, impresentabile e indegno anche solo di candidarsi alla guida della Francia, appoggiò Chirac (al punto che Chirac si rifiutò di partecipare al classico confronto televisivo che precede il secondo turno).
E oggi? Cosa potrebbe accadere se la Le Pen crescesse ancora e nemmeno il “fronte repubblicano” fosse più in grado di arginarla? Potremmo avere il primo capo di Stato che a proposito degli immigrati si esprime così: “La solidarietà non si esercita quando si hanno già milioni di disoccupati, un sistema di protezione sociale che sta andando in rovina. Piuttosto dovrebbero essere solidali le monarchie dei petrodollari, vicine geograficamente a queste popolazioni povere. Noi pensiamo solo ai francesi”.
Siamo proprio sicuri noi italiani di essere al riparo?