Era l’estate-autunno del 2011,due anni fa; due storie parallele si sviluppavano nelle aule del tribunale,con due significati diversamente interessanti. Ma sui giornali, nei TG e nei talk show italiani, se ne vedeva solo una di storia, quella del “delitto di Avetrana”,di Sarah Scazzi, con Sabrina,il padre,la madre ,protagonisti a confronto nelle inchieste e nei plastici ricostruiti in studio. L’altra storia era quella di Lea Garofalo,testimone di giustizia uccisa dal’ex marito , altrettanto tragica ma con risvolti mafiosi ben diversi e profondi,approdata nell’aula della Corte d’Assise di Milano,nella indifferenza della stampa, sino a quando la figlia Denise,accusò il padre del delitto della madre Lea. Ed anche allora il peso delle notizie continuò a restare diverso, molto sbilanciato sul delitto di Avetrana, mentre la storia di una donna coraggiosa come Lea Garofalo,che aveva pagato con la vita la sua forza di volontà per uscire dall’ambiente della ‘ndrangheta nella quale era vissuta e per dare un futuro diverso alla figlia Denise, veniva accuratamente messa in un angolo dei giornali, ignorata dalle televisioni sino alla sentenza; una vicenda seguita sempre solo da “Libera Informazione” e , con continuità, sensibilità giornalistica ed umana particolare dalla Stampa di Torino.
Ci sono voluti due anni, appelli e spinte giornalistiche individuali, due sentenze di 1° e 2° grado importanti e drammatiche, il “pentimento” di uno dei condannati, il ritrovamento dei poveri resti di Lea; c’è voluto il peso di Libera e Don Ciotti, di Denise e del sindaco di Milano Giuliano Pisapia, per sfondare il muro dell’informazione, quando il 19 ottobre scorso si sono svolti in Piazza Beccaria a Milano i funerali di Lea. Allora giornali e TV,finalmente, hanno ricordato e raccontato chi fosse Lea, “testimone di verità”. Ignorata a favore delle luci della ribalta di Avetrana per due lunghi anni, perché l’informazione spettacolare fa gioco,quando non si devono toccare quei gangli mafiosi intrecciati con il potere che inevitabilmente emergono nei processi di mafia, anche in quelli più drammaticamente vicini alla pura “cronaca nera”,come l’assassinio di Lea Garofalo.
Quante domande,tratte da questo che è solo un esempio tra i più clamorosi, si possono fare sul giornalismo italiano? Quante riflessioni sull’uso ed abuso della cronaca nera per creare morbosamente interesse anche oltre il confine dell’intimità ( la camera fissa sulla serranda del garage del delitto di Avetrana, sul viso ingrandito del padre di Sabrina…) in nome di una audience che significa pubblicità venduta a caro prezzo per quei programmi, ma anche distorsione dell’informazione per non affrontare i temi,più profondi, della povertà culturale e materiale degli italiani o le responsabilità senza precedenti dell’uso della giustizia a fini personali che ha rallentato per anni indagini,processi e la soluzione dei guasti della Giustizia italiana…?
Poche le discussioni tra giornalisti e sull’informazione , su questi temi; troppo poche riflessioni sono state (e sono oggi) aperte su come equilibriamo la nostra informazione nazionale, tra una cronaca che va sempre fatta ma maggiormente approfondita (senza scadere in noiosi sociologismi di un’era che fu), una informazione politica che deve andare al nocciolo dei problemi senza fermarsi alle “battute” dei politici (raccolte da microfoni di troupe in appalto e senza giornalisti) o affidate a “retroscena” che sembrano punti di vista attraverso il buco della serratura di riunioni di pochi soloni; mentre la Cultura viene relegata a semplice spettacolo,spesso kitch o inquinato da stelline amiche dei potenti politici di turno; a talk show pomeridiani dove si sente ripetere, con gusto e quasi ammirazione, che “non ho letto un libro negli ultimi dieci anni”, senza che nessuno si fermi a dire al soggetto in questione che ,come minimo, dà un pessimo esempio ai suoi figli…
Anche questo ,forse soprattutto questo, è l’inquinamento prodotto in Italia dal Conflitto di Interessi berlusconiano degli ultimi 20 anni: che ha ammazzato la Politica,creato populismo e reazione irrazionale verso la soluzione dei conflitti e l’armonia delle comunità; ma che ha soprattutto cercato di deviare la Cultura verso il binario morto dell’inutilità e della superficialità. Ha tentato di uccidere la buona televisione, in nome della legge della pubblicità; ha tolto ossigeno alla Scuola relegando l’istruzione nel nozionismo repellente ed i professori negli angoli dei registri,senza dare opportunità ai giovani, al punto che oggi vediamo due generazioni senza speranza, trentenni che ragionano come diciottenni,laureati che non sanno scrivere in italiano (figurati le tre “I”….),ragazze che rispondono nei sondaggi come sia giusto fare sesso con i professori per avere un voto più alto all’esame universitario (e viceversa professori che lo fanno normalmente…), uccidendo la spontaneità e la felicità giovanile con il retrogusto amaro della mancanza di morale e con l’arrivismo delle “veline” e dei “velini pur di andare in televisione, come se lo stare in quell’elettrodomestico casalingo, sia più importante che vivere serenamente e con divertimento una vita fatta di lavoro onesto e sana curiosità del mondo, delle altre culture e popolazioni…
E’ ancora possibile, senza sembrare retorico o vecchio rottame, discutere su come l’informazione non sia riuscita a contrastare questi fenomeni usando la schiena dritta dei giornalisti, più propensi invece in questi ultimi anni a flettersi verso il potere politico o le stupidità dei vari gabibbi o Iene ai quali hanno delegato le denuncie di ingiustizie,mai contestualizzate o indagate,ovviamente, da chi faceva spettacolo e non informazione ? E’ possibile ridare fiato e spazio a trasmissioni che vogliono capire e far capire come si può ricomporre oggi lo specchio frantumato nel quale la società italiana si riflette oggi vedendo tanti pezzi invece che l’immagine intera della nostra società? E’ vero che oggi la “comunità” italiana,per citare un termine caro ad Adriano Olivetti (a proposito, ci sono voluti 50 anni per vedere la sua figura riproposta in TV e non a caso è tornata solo grazie alla RAI…), quella società italiana si è frantumata perché era fragile: ma possibile che dopo aver incominciato un percorso di lettura di questi fenomeni negli anni ‘80 e ‘90, l’informazione italiana si sia fermata davanti alla sola riproposizione degli effetti della frantumazione : e via via sempre di meno, spesso facendosi complice di chi voleva invece dire che tutto andava bene , che i ristoranti erano pieni ed i luoghi di villeggiatura affollati, mettendo la polvere ( disagio, povertà… mafie e corruzione) sotto il tappeto del falso mito televisivo e politico berlusconiano?
Ed è possibile cercare di rispondere, anche sui giornali e in TV, al semplice quesito sinora senza risposta sul perché, dopo 150 anni, continuano ad imperversare in Italia,mafia, camorra,’ndrangheta e poteri più o meno occulti?
Oggi dobbiamo porre innanzitutto a noi stessi alcune domande chiare: quali rapporti con l’economia, i poteri forti nazionali ed internazionali, hanno “dopato” il giornalismo italiano? Quali intrusioni e poteri di controllo politico sulla RAI , decisi ed applicati in modo ferreo con la Legge Gasparri, sono oggi scardinabili con l’azione collettiva,sindacale e politica, nelle redazioni e in rapporto con le associazioni sul territorio che si muovono a difesa della libertà di Informazione? Quale ruolo deve avere l’informazione in rapporto con i linguaggi nuovi nati nell’epoca digitale e che i giovani stanno non solo recependo, ma usando come brodo di coltura della propria formazione? E quali altre gabbie dobbiamo rompere, a partire proprio dalla Gasparri,per ridare fiato a chi vuole parlare di inchiesta ed conoscenza, di approfondimento e denuncia sociale e/o politica nelle redazioni? Che ruolo dobbiamo avere nella costruzione della difesa delle Istituzioni, quelle vere e di garanzia nel nostro paese, a partire dalla Costituzione italiana?
Ed infine, se vogliamo rispondere a tutte queste domande dobbiamo anche avere il coraggio di ridare smalto e lucentezza al ruolo di una informazione forte del Servizio Pubblico televisivo: che si chiama RAI e non è la bestemmia intravista dai culturisti del mercato, che in realtà sono cultori degli interessi dei monopolisti privati.
Perché essere servizio pubblico vuol dire avere quel dovere in più nel fare informazione che risponde agli interessi di tutti, senza parteggiare per qualcuno. Quindi il dovere della memoria che altri hanno dimenticato,il dovere di rispondere a domande che arrivano dal pensionato o da uno dei 5 milioni di poveri in Italia. Il privato può andare dietro il proprio interesse, suggerendo divagazioni in nome del proprio guadagno. La RAI ha invece il dovere di ascoltare e dare voce e intrattenimento a tutti. E soprattutto la sensibilità di denunciare quello che altri non vedono e non vogliono vedere; di costruire intorno alle Istituzioni di questo paese (che sono cosa diversa da questo o quel partito, ma che vede anche i partiti come pilastri fondativi), le regole della convivenza e della crescita materiale e culturale comune, con equità e rispetto delle regole. Per questo il rinnovo della Concessione del Servizio Pubblico in esclusiva RAI del 2016 è strategica per l’intera informazione italiana,perdurando sempre il conflitto di interessi ed il peso sui giornali nazionali e locali dei poteri economici privati; per evitare il nuovo servizio pubblica RAI del 2000, c’è chi oggi riparla di privatizzare la RAI ,poco o molto non importa, solo per arrivare a quel “bollino blu” divisivo, come se fosse possibile in un Servizio Pubblico e dentro il concetto basilare di crescita culturale, dividere intrattenimento e inchieste, il telegiornale dalle trasmissioni del pomeriggio, i talk show dai documentari.
La sfida è aperta e tracciata: ma noi giornalisti siamo pronti? Articolo21, la FNSI,l’Usigrai e pochi altri, mi sembrano pronti, ma alla ricerca comunque di un confronto costruttivo per rispondere alle tante domande che ci vengono poste e che noi dobbiamo rilanciare. Molte altre risposte aspettano risposte mentre troppi poteri che non vogliono scoprirsi,hanno interesse a non svelarsi. Tocca a noi farlo: e con linguaggi nuovi,contenuti nobili e ricchi di memoria,mezzi aggiornati ai temi ed alla cultura di domani, ben sapendo che la nostra tradizione è forza , anche per stare con i piedi nel futuro digitale di questo millennio.