di Eleonora Maresca e Mara Filippi Morrione –
Grande affluenza mercoledì scorso in Corte di Cassazione a Roma, alla presentazione del Dizionario Enciclopedico delle Mafie in Italia, curato da Claudio Camarca ed edito dalla Castelvecchi. Del resto due giorni prima l’accredito già non era più consentito per mancanza di posti, nell’aula magna che arriva a contenere 350 persone. Il DEM ha suscitato grande interesse soprattutto da parte di insegnanti e studenti, ma anche magistrati e avvocati, che nell’opera vi hanno riconosciuto un valore documentale, in quanto costruita a partire semplicemente dalle sentenze che costellano la storia della criminalità organizzata nel nostro Paese. Ma mettere in fila puramente i fatti, citare le sentenze non fa parte del modo usuale di fare informazione e argomentare in Italia.
“Uno strumento di conoscenza per capire cosa è la mafia ma soprattutto un monito” per ricordare che si tratta di una battaglia che deve ineluttabilmente svolgersi “prima e fuori delle forme del processo”, attraverso il “risanamento del tessuto sociale e la diffusione di un costume di osservanza della legalità”, in altre parole buona politica, cultura e rispetto delle regole. È proprio nello spirito di queste parole che, all’indomani della promulgazione del nuovo codice antimafia, il primo presidente della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, ha aperto la presentazione dell’opera. E come lui anche altre personalità, delle istituzioni e della società civile, si sono unite nel dare concretezza al proposito di diffusione di una cultura anti-mafia e più in generale di una cultura della legalità: Michele Vietti, Franco Roberti, Giuseppe Pignatone, Massimo Brutti, Claudio Camarca, Raffaele Cantone, Giorgio Gosetti, Giuseppe Baldessarro, Francesco Vitale. Tutti inizialmente spiazzati con piacere dalla presenza di così tanti giovani, fino a confessare apertamente il tentativo di modulare i propri interventi al fine di renderli più fruibili dal pubblico studentesco. Le tribune dell’aula magna erano piene di liceali e universitari in attesa di parole sapienti che potessero gettare un po’ di luce in tempi così confusi e asfittici. Giovani chiamati in prima persona, perché Roma, la loro città, essendo il centro dei poteri politici, economici e legali, non è esente dal fenomeno della criminalità organizzata, come Milano, Torino e come ormai la gran parte delle città della penisola. E’ ciò che sta cominciando ad emerge dalle indagini di cui ha parlato il procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone.
Si è evidenziato come esistano diverse mafie, accanto a quelle tradizionali radicate nelle regioni meridionali, e come le regioni del nord conoscano da decenni il radicamento di cosche e pratiche mafiose.
Si è denunciata una troppo facile permeabilità della politica. Si è parlato della stagione dei tragici sequestri di persona e delle tante vittime innocenti dimenticate dallo Stato, dei traffici di droga miliardari, della confisca come strumento essenziale per colpire il cuore della criminalità organizzata ed il suo patrimonio, e di riciclaggio quale mezzo attraverso cui la mafia riesce ad infiltrarsi nel sistema economico e finanziario mondiale. “Le mafie fanno affari con i ricchi senza scrupoli e reclutano i disperati”. Così si è espresso senza riserve il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, appellandosi al rispetto dei diritti fondamentali sanciti nella Costituzione: il diritto al lavoro, all’istruzione, alla libertà di iniziativa economica; tutti diritti che devono essere promossi ed assicurati dallo Stato, nel rispetto dell’art. 3, che tutela l’eguaglianza formale e sostanziale dei cittadini.
La presentazione ha ripercorso la storia della lotta alla criminalità mafiosa anche dal punto di vista cinematografico. Sono stati richiamati alcuni degli eroi antichi e moderni di questa lotta: Falcone, Borsellino, Carlo Alberto dalla Chiesa, Cesare Terranova, Pio La Torre, Roberto Saviano.
Il “DEM” è dedicato a Roberto Morrione ed è il risultato del generoso contributo di 66 autori che hanno deciso di rifuggire dal “silenzio dei giusti” – come lo ha chiamato Giuseppe Pignatone riferendosi all’omertà – al fine di diffondere un’opera che, per dirla con Giorgio Santacroce, oggi costituisce uno “strumento di analisi e valutazione delle cose già fatte, ma soprattutto, di quelle ancora da fare, per meglio comprendere e costruire, attraverso la storia di un recente passato, un futuro migliore”.
Un particolare ringraziamento a Franco Ippolito e Giuseppe Salmè, giudici di Cassazione che hanno voluto e reso possibile l’evento.