Il bivio della destra americana

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La destra americana sta cambiando pelle? O il Tea Party sta distruggendo il vecchio GOP? Gli americani sono stanchi di guerre, fuori e dentro casa loro.

di Guido Moltedo

Che cosa fa più male ai repubblicani di lungo corso e di scuola moderata: essere maltrattati dagli elettori (oggi nei sondaggi e verosimilmente alle prossime elezioni) o dai loro munifici donors? E saranno in grado di evitare il peggio, contenendo la spinta irresponsabile della destra estrema che blocca l’America? Il Grand Old Party sta già pagando un conto molto salato in termini di perdita di consensi e di finanziamenti, per la sua sudditanza agli estremisti che tengono in ostaggio i gruppi parlamentari della camera e del senato e costringono alla paralisi la macchina federale statunitense, pur di non approvare la legge finanziaria. Nei sondaggi è evidente come nell’opinione pubblica sia largamente condivisa l’idea che lo shutdown degli uffici pubblici sia soprattutto colpa dei repubblicani.

E più si va avanti, peggio è per il Gop: nel terzo giorno dell’arresto della macchina governativa, un sondaggio di Cbs News rivela che una larga maggioranza degli americani (72 per cento) disapprova lo shutdown e ne attribuisce la responsabilità più ai repubblicani che a Obama e ai dem. Ma lo stesso sondaggio mostra come il campo repubblicano sia una mela spaccata: il 48 per cento approva lo shutdown, il 49 lo disapprova, e tra chi l’approva spiccano i simpatizzanti del Tea party, il 57 per cento dei quali è schierato per la lotta dura senza paura contro la Casa Bianca, anche se comporta la paralisi dello stato, come sta avvenendo.

Non è una normale dialettica tra due “anime” dentro un partito, tra due visioni diverse. È una guerra civile. I moderati repubblicani fanno per lo più riferimento alle aree più “evolute” e ricche del paese e sono tipicamente finanziati da “money men” legati a Wall Street, imprenditori, banchieri, avvocati. Gente, cioè, che non può concedersi il lusso di un apparato statale che smette di funzionare, con conseguenze catastrofiche per l’economia. «Un lunedì dello scorso mese – racconta su The Daily Beast David Freedlander – il deputato Greg Walden, che presiede il National Republican Congressional Committee, incontra alcuni donatori del Gop in una colazione a Le Cirque, a Lexington Avenue, Manhattan. I donors, un gruppo di giovani industriali e avvocati, hanno qualche domanda da fare a Walden, un parlamentare dell’Oregon orientale dai modi miti ma noto per il suo parlar chiaro. Perché, chiedono, il Gop sembra così assoggettato alla sua ala più estremista?”. Perché, chiedono ancora, si è arrivati a questo punto? «Sentite, replica Walden, dobbiamo farlo a causa del Tea party. Altrimenti, i nostri si presentano alle primarie e questi qua gli fanno perdere le primarie».

Walden dice ai presenti che, sul campo, ci sono loro, i tea partiers, e sono loro decisivi per vincere in molti distretti. Già, ma chi stacca gli assegni per finanziare le campagne? Molti donors conservatori stanno meditando sulle possibili contromisure per contenere l’egemonia del Tea party. Nessuno immagina di cambiare cavallo. Mai un dollaro a un democratico, sarebbe una bestemmia per un “money man” di destra. Caso mai nessun dollaro a nessuno, finché sarà il Tea party a dettare l’agenda.

In realtà, il conflitto fondi-militanza è tra due entità talmente distinte e distanti, si presenta come una sorta di scontro di classe tra America urbana e America rurale. Non può essere composto, ma è destinato anzi a crescere e ad alimentare il conflitto politico all’interno del Gop. Peraltro, come sottolinea bene Freedlander, dietro il Tea party ci sono anche grandi finanziatori, come i fratelli Koch, magnati dell’energia e dell’edilizia, che «considerano un problema l’eccesso di regole più che le conseguenze dello shutdown». C’è anche una destra, meno estremista di quella dei Tea party ma altrettanto ferocemente anti-obamiana, che vede in questo passaggio politico un regalo proprio all’odiato presidente democratico, il quale in un momento di sondaggi bassi per lui risale la china in virtù dell’ostruzionismo di un piccolo blocco di conservatori. Vedono, questi repubblicani, sfuggire di mano la possibilità di riprendere il controllo del senato, il prossimo anno, e ancor più sfumare la speranza di riconquistare la Casa Bianca nel 2016.

Quello che di nuovo emerge con chiarezza è che l’America, se mai ne è stata attratta, è stanca di guerre, guerre vere, come quella che si profilava in Siria e che è sfumata anche per la forte opposizione della maggioranza degli americani, e delle guerre politiche che spaccano il paese e bloccano il governo. «La gran parte degli americani vuole il compromesso», commenta la Cbs News, presentando i dati del suo sondaggio. E dunque finirà che i repubblicani alla camera si acconceranno a un compromesso con la Casa Bianca e con i democratici. Ma non sarà certo la fine della guerra interna, che sarà alimentata da una propaganda tesa a presentare l’intesa come un cedimento a Washington e a Wall Street.

da ilmondodiannibale.it


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