“Berlusconi, un nuovo colpo”, scrive il Corriere, “due anni di interdizione”. “Accanimento, io vado avanti”, è la replica. “La cupola delle porcate – strilla il Giornale – I magistrati interdicono e brindano: abbiamo vinto la gara col Parlamento per farlo fuori”. Qui si allude a una dichiarazione del vice presidente (laico) del CSM, Vietti, il quale ieri ha mostrato di apprezzare la rapidità del giudizio di appello rispetto alla lentezza del processo parlamentare sulla decadenza. Il povero Vietti deve aver creduto che per B. due anni lontano dalla politica fossero meglio dei 6 previsti dalla Severino, ma i berluscones – si sa – dichiarano senza pensare. Tranne Quagliariello che, su La Stampa, invita: “Ora riflettere alla incandidabilità”, titolo: “Si riapre il caso Berlusconi”. Per il Fatto: “Interdetto dal tribunale e ostaggio della Pascale”. Povero Silvio. “Berlusconi fuori dalla politica”, auspica Repubblica. Auspica, perché i tempi non saranno brevi : Berlusconi non sarà interdetto né assegnato ai servizi civili prima della prossima primavera, come spiega con chiarezza un articolo a pagina 5 del Corriere.
Insomma, continueremo per mesi a languire berlusconiani. “Basta! Non se ne può più! E Santoro che ci informa degli amplessi lesbici di Francesca e Michelle! Che pena!” Me li immagino già tanti commenti. Sì, che pena. Ma pigliatevela con le persone giuste, cari indignati. Fanno pena Alfano e Mauro, Lupi e Casini che non riescono a immaginare un partito del centro destra ancorato al Partito popolare europeo senza dover andare in pellegrinaggio un giorno sì e uno pure a Palazzo Grazioli. Temono di non avere neppure i voti per evitare una figuraccia alle Europee e chiedono al “condannato” di prestarglieli. Il quale condannato però chiede: cosa mi date in cambio? Non le dimissioni dal governo, lo abbiamo capito. E allora? Allora dopo Casini anche Mauro fa capire che voterà contro la sua decadenza da senatore e, prima ancora, insieme cercheranno di prender tempo per dar modo al “condannato” di ricattarci ancora con la minaccia di elezioni anticipate. Tattica dilatoria e ricattatoria che dovrebbe servire a fabbricare una qualche soluzione politica contro una sentenza ormai passata in giudicato e contro il rischio di altre sentenze, che trasformerebbero il condannato semplice in condannato plurimo. È innanzitutto l’inconsistenza politica di questi democristiani immaginari che ci obbliga a mangiare Pane e Pascale.
Ma sono colpevoli (del fastidio che proviamo leggendo i giornali o ascoltando i talk show) anche Enrico Letta e Dario Franceschini, Eugenio Scalfari e Giorgio Napolitano. Sembrano tutti convinti che l’Italia sia un bambino con le rughe, invecchiato ma ancora immaturo. Che non possa affrontare né sopportare il conflitto. Che la società in cui viviamo sia troppo frammentata e corporativa, lo Stato inefficiente e corrotto. Dunque, che l’unica salvezza possa venire da una riforma dall’alto, che costruisca una destra europea, che ci consenta di avere un giorno anche una sinistra europea. Che la salute sia in Europa, a costo di condividerne i diktat, tenere i parlamentari sotto controllo mentre si costruiscono nuove regole del gioco. Si costruiscono insieme al Caimano, perché di meglio non si trova, magari con la segreta speranza che prima o poi scappi via a viversi i suoi miliardi. Per questi signori, Berlusconi è il problema ma é anche la soluzione obbligata alla crisi.
E quando il giornale della Confindustria si schiera in assetto di guerra: titolo principale “La Tasi vale più dell’IMU, si parte da 3,7 miliardi”, commenti in apertura “quei tagli mancati che bloccano lo sviluppo” e ”quella poca reputazione che frena gli investitori”, citazione di Squinzi “nessuna vera spending rewiew, la legge di stabilità va migliorata, evitare interventi elettoralistici”, poco ci manca che gli industriali non vengano trattati come i no-tav che hanno sfilato per le vie di Roma. Corporativi, egoisti, senza il coraggio della responsabilità. Fassina, invece, è rientrato all’ovile: sarà lui a seguire la finanziaria nei delicati passaggi parlamentari, a difenderla e opporre il no a emendamenti che ne vogliano correggere l’impianto.
Un’altra strada ci sarebbe. Dire a chiare lettere che le riforme costituzionali non si possono fare se prima l’interlocutore moderato non rinunci ad attaccare Stato di diritto e democrazia liberale (e questi fa difendendo Berlusconi). Basterebbe che una ventina di senatori del Pd non partecipassero mercoledì al voto della legge costituzionale. Il messaggio arriverebbe, e da quel momento le parti della trattativa di governo dovrebbero fare accordi veri, avendo perso l’alibi delle grandi riforme.
Si potrebbe dire a PDL e Movimento 5 Stelle che cambiare la legge elettorale è priorità vera. Dirgli: “Con il doppio turno ciascuno di voi avrebbe l’opportunità di vincere e di governare. Ma, attenzione, se lo rifiutaste potremmo tornare al proporzionale. E allora il PDL si spaccherebbe, non più tenuto insieme dalla speranza del premio di maggioranza mentre il Movimento 5 Stelle sarebbe costretto, per non morire, a scegliere con chi allearsi. E Il Pd? Resterebbe primo partito, fulcro delle alleanze, anche se alla sua sinistra superasse lo sbarramento una forza più di sinistra. Dunque, ragazzi, non fate i furbi, siamo disposti a vedere il bluff.
Il Pd potrebbe infine promuovere una grande assise dalla SPD e dei socialisti francesi con i democratici italiani e con le sinistre greche e spagnole. Obiettivo? Pretendere che l’Europa nomini un ministro del tesoro, contraltare della BCE, e che le sinistre propongano alla Ue alla BCE e al PMI di rimettere una parte dei debiti ai paesi più indebitati. Quella parte che non serve per alimentare spesa parassitaria e corruzione, ma per mettere in sicurezza il patrimonio naturale e storico culturale.
Credo che il governo non cadrebbe, che Napolitano non sarebbe costretto a rampognarci con cadenza sempre più ravvicinata, che i popolari italiani-europei fonderebbero i loro sogni su piedi più saldi, che Berlusconi si occuperebbe finalmente del patrimonio accumulato e di cosa fare negli anni che gli restano, mentre Francesca, chissà, forse sceglierebbe di sfilare al prossimo Pride.