Crisi del sistema, ma non della professione giornalistica. Da qui dobbiamo partire se vogliamo analizzare con trasparenza e verità la crisi che sta travolgendo l’editoria italiana ed individuare il cambio di rotta. Una crisi che, per quanto riguarda l’Inpgi, si traduce in numeri preoccupanti. Nel 2012 la spesa per gli ammortizzatori sociali che l’Istituto ha dovuto sostenere supera i 23 milioni di euro. Ad oggi le aziende coperte dal contratto di solidarietà sono circa 50 e tra queste grandi gruppi editoriali.
Una situazione che non può essere risolta solo con il ruolo sociale ed assistenziale insito nell’Istituto. Non si tratta di far passare la tempesta. Serve consapevolezza, idee, azioni precise e unità. Sindacato, Ordine, Inpgi, editori e giornalisti: ognuno faccia la propria parte per la tenuta e il rilancio del sistema. L’Istituto che io presiedo la sta facendo e non solo mettendo in campo quel welfare integrato che è ormai diritto acquisito per chi è iscritto all’Inpgi o gli sgravi previdenziali per chi assume a tempo indeterminato, ma ribadendo, in ogni contesto istituzionale, sia nazionale sia europeo, che non si può parlare di sviluppo del Paese prescindendo dai grandi temi legati al lavoro: fiscalità adeguata, equità, sostegno, accesso al credito. Lo stiamo facendo sedendoci ad ogni tavolo di confronto e quando non c’è chiedendolo a gran voce, convinti che il tema dell’innovazione della professione, ormai irrimandabile, vada affiancato da un ragionamento serio e profondo sulla domanda, sul riposizionamento dell’offerta giornalistica in un mercato che vede crescere la comunicazione, decrescere l’informazione e crollare la pubblicità.
Colpa della concorrenza sempre più aggressiva degli “Over the Top” (social network e motori di ricerca)? Colpa dei tablet, smatphone, di una comunicazione sempre più “mangia e fuggi”? Di colpevoli potremmo trovarne molti, ma una volta individuati ed enunciati dobbiamo passare oltre. Ben venga il dibattito che si sta tenendo da qualche giorno sul sito di Articolo 21, se riusciamo a cogliere in ogni specificità una proposta da cui partire e non un palco sul quale salire per puntare il dito. Non è più tempo. L’Inpgi sul tavolo mette la propria storia, l’analisi che nasce dai numeri per arrivare alle persone, l’impegno a garantire la tenuta dei conti, le risposte alle migliaia richieste di aiuto che arrivano dai colleghi e dagli editori, ma anche le proposte e le azioni per rilanciare un mercato aggrovigliato su se stesso. E’ stata importante la battaglia per l’equo compenso, nata dalla consapevolezza che in questo mestiere non dovessero più esistere giornalisti di serie A e giornalisti di serie B. Ora ci attende un’altra sfida. Quella di non avere pensionati di serie A e pensionati di serie B.
10 anni di gap previdenziale, quello alla quale sono destinati i giovani che percepiscono redditi che è indegno chiamarli tali, non potranno che dare vita a futuri poveri, ad ex lavoratori che percepiranno 500 euro di pensione. Non è questo il modello di società che possiamo accettare. Riflettiamo sulla nostra professione, mettiamo in campo azioni per farla rinascere.
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- PER UN’INFORMAZIONE DI QUALITÀ, PER UN GIORNALISMO LIBERO E NON RICATTABILE – di Daniela Stigliano
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