C’è una cosa che mi spaventa più delle altre nel lavoro che faccio. L’omologazione. Nell’epoca dei governi delle larghe intese per chi racconta la politica, omologazione significa perdere il contatto con il mondo esterno e commettere gli stessi errori che ha fatto e fa la politica: parlare essenzialmente del “circo” della politica e non confrontarsi sui temi che la politica dovrebbe affrontare. Questo governo è stato definito d’emergenza. L’informazione sembra ricalcarne lo spirito. Non ho visto i dati dell’osservatorio di Pavia ma a naso posso immaginare che in queste ultime settimane la visione che i telespettatori hanno avuto della politica italiana in percentuale potrebbe essere: 30% di spazio dedicato al governo, 25% dedicato al Pdl, 25% dedicato al Pd. Gli altri partiti si dividono il restante 20%. E in questo 20% ci stanno Cinque Stelle, Scelta Civica, SEL, Lega, Fratelli d’Italia, GAL e le altre forze politiche che non hanno rappresentanza parlamentare.
Il rischio per un’informazione che è chiamata a descrivere questo quadro politico anomalo, è quello di perdere i punti di riferimento e di essere vittima della stessa anomalia. Le cronache politiche di questi giorni sono presto raccontate in sintesi. Le varianti quotidiane aggiungetele voi. Sullo sfondo c’è la crisi economica italiana ed europea, condita dall’esigenza di stabilità. A lato le divisioni dei due partiti maggiori di governo. Per lungo tempo il Pd e nelle ultime settimane il Pdl. In primo piano ci dovrebbero essere le cose da fare, ma le cose da fare non emergono oppure vengono trattate nello stesso modo: con la strategia d’emergenza. Anche da noi. Alcuni esempi.Per quale motivo aspettiamo i 320 morti di Lampedusa per “accorgerci” che il tema dell’immigrazione è un tema vero e che nel Mediterraneo di morti ce ne sono già 25mila?
Per quale motivo aspettiamo i suicidi di lavoratori e imprenditori per dare alla crisi il nome di crisi? Perchè aspettare la soglia del 27%, poi del 30% fino ad arrivare al 40% di disoccupazione giovanile per definirlo come problema e farci un’inchiesta? Perchè aspettare le messe in mora dell’Europa, gli appelli del Capo dello Stato, i suicidi di detenuti e guardie carcerarie per cominciare a parlare del sovraffolamento? Inoltre questo stesso tema diventa di stringente attualità e muove i dirigenti di tutti i partiti e la stampa più importante solo quando compare un “attore” principale che è Silvio Berlusconi. Neanche Giovanni Paolo II riuscì a smuovere le coscienze del Parlamento sul tema del sovraffollamento carcerario. Smosse la stampa per qualche giorno ma poi tornò il silenzio.
Si parla della sofferenza degli immigrati all’interno dei CIE solo ora che il “circo mediatico” ha raccontato lo stato dei 900 immigrati al centro d’accoglienza di Lampedusa. Le coscienze politiche, oggi, inorridiscono ed inorridisce la stampa. Stampa e politica che non inorridiva però nello stesso modo e con la stessa attenzione quando 10 giorni, un mese, un anno, due anni fa si sapeva che nei CIE italiani la situazione era la stessa.
Si aspettano gli esodati in piazza per capire che esistono.
Si aspetta un presidio che prosegue dal 23 luglio a Montecitorio per affrontare il tema STAMINA.
Il racconto dell’informazione, eccetto alcune pregevoli oasi, si accorge dell’evidenza quando invece dovrebbe avere la capacità di stare sulle questioni sin dall’inizio.
Perché parliamo dei morti del lavoro solo quando di morti ce ne sono almeno cinque al giorno e non perché ce ne sono ancora un migliaio all’anno?
A volte l’informazione, non solo non fa più alcune domande ma nemmeno pensa di farle. Ultime vicende politiche. Mi chiedo e ci chiedo: è normale che cinque ministri di un partito (il Pdl) facciano una conferenza stampa a Palazzo Chigi (sede istituzionale) per affermare che la delegazione sta al governo per portare avanti il programma del proprio partito auto incensando il lavoro fatto e ponendosi come paladini anti tasse in antitesi quindi (questa è la lettura che ne esce), con altri ministri dello stesso governo che a questo punto dovrebbero rappresentare (per logica) il partito delle tasse? Governo delle larghe intese o delle alleanze fraintese?
Par condicio. Ecco allora un’altra domanda simile alla precedente: è possibile che un Ministro dello stesso governo costretto alle dimissioni per non avere pagato l’ICI scelga di fare nella stessa sede istituzionale (Palazzo Chigi) una conferenza stampa con il proprio avvocato pur arrivando a quell’appuntamento dimissionario e ammettendo in ogni caso la propria responsabilità? C’era, nel nostro mondo un tempo, una capacità d’analisi migliore. Eravamo dei segugi, seguivamo le notizie e le mordevamo tentando di andare fino in fondo. Eravamo noi (parlo di noi come giornalisti in senso lato) a sollecitare l’intervento della politica. Ora, in tutta onestà, sarebbe ancora più semplice di fronte ad una politica troppe volte chiusa su sé stessa e meno capace di mettersi in ascolto della società.
Una volta il giornalismo d’inchiesta aveva luoghi e spazi sulla carta stampata, in radio, in tv. Oggi sembra che si debbano riempire degli spazi, stare fermi sulle notizie del giorno. Le notizie vengono bruciate in un attimo C’erano direttori e capi cronisti, una volta, che davano settimane, a volte mesi a inviati e giornalisti per seguire una notizia che poteva trasformarsi in inchiesta. Forse abbiamo perso il fiuto, la costanza, e lo stesso modello produttivo non ha più tempo. Ma la notizia e soprattutto l’inchiesta possono essere vittime di un modello produttivo in cui giornali, radio e tv si sono trasformati in “notizifici”?
Siamo consci del fatto che oggi, in Italia un caso Watergate forse non sarebbe scoperto? Quella notizia, che poi divenne una grande inchiesta, ad un certo punto si sgonfiò. I giornalisti, ciononostante, continuarono a seguirla. Oggi una notizia che si sgonfia diventa una non notizia e non ci sono più tanti direttori, giornalisti e capi coraggiosi pronti ad investire tempo, soldi e colleghi per capire “se c’è dell’altro”.
Eppure basterebbe guardare nelle Teche Rai per ritrovare quel coraggio. Basterebbe prendere ad esempio qualche Reportage del passato di Sergio Zavoli o Enzo Biagi per comprendere come si faceva una volta e come potremmo ancora fare.
Forse servono solo proposte, un po’ di coraggio e fantasia. Una proposta io provo a buttarla lì, come del resto l’avevo fatta un paio di anni fa ad una testata, la mia, Rainews24, che non aveva risorse a disposizione.
Pensiamo che ci sia un Paese da raccontare? Allora organizziamo e realizziamo un Giro nell’Italia tra crisi e riscatto. Facciamolo in occasione del prossimo Giro d’Italia. Proviamo ad immaginare che, nel corso della corsa ciclistica più bella del mondo, possa prendere il via anche un Giro d’Italia parallelo e a tappe dell’informazione. Le stesse tappe che però portano a incontrare l’Italia della crisi e del riscatto, l’Italia depressa e quella che vuole riprendersi, l’Italia vittima delle criminalità e quella che ha deciso di dichiarare guerra alla criminalità, l’Italia del lavoro e quella della disoccupazione, l’Italia di chi non ce la fa più e di chi prova a farcela, l’Italia delle emergenze ambientali e delle eccellenze, l’Italia dei vecchi e nuovi italiani. E perché non proviamo a farlo tutti insieme, noi, testate e giornalisti del servizio pubblico?
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