È un peccato che la Camera, innovando la legge sulla stampa che risale al 1948, abbia sprecato la grande occasione che aveva di eliminare insieme al carcere tutte le norme che rendono i giornalisti italiani deboli e indifesi rispetto a chi fa un uso intimidatorio e ricattatorio delle querele e dei risarcimenti danni. È un peccato. Ma è anche lo specchio di una cultura politica che vuole i giornalisti liberi, ma non troppo. La proposta di legge abolisce il carcere per i giornalisti condannati per diffamazione a mezzo stampa. È un grande passo avanti. Cadrà così la norma più incivile prevista dalla legislazione italiana nei confronti degli operatori professionali dell’informazione. Purtroppo non basta. La Camera ha compiuto solo una parte del cammino richiesto per reiinserire l’Italia nella classifica dei Paesi in cui la stampa è libera, non “parzialmente” libera. Si spera che il Senato aggiunga le misure che mancano.
In base alle norme approvate oggi a Montecitorio, i giornalisti non rischieranno più di finire in carcere, ma la diffamazione resterà un reato. La depenalizzazione (che è cosa ben diversa dall’eliminazione del carcere ed è ciò che chiedono all’Italia il Consiglio d’Europa, l’OSCE e le Nazioni unite), non è stata presa in considerazione.
Al posto del carcere ci saranno sanzioni economiche e risarcimenti. Peccato che queste pene alternative non siano state commisurate alle potenzialità economiche del giornalista, come chiede l’Europa. Peccato che al giornalista potranno essere chiesti, come in passato, danni illimitati. Peccato che ciò continui a impedire qualsiasi assicurazione di responsabilità civile della categoria. Peccato che la proposta di creare un deterrente consentendo al giudice di penalizzare sul piano economico chi senza fondate ragioni chiede risarcimenti danni, sia stata respinta.