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Dichiarazione di voto in Senato di Corradino Mineo sulle riforme costituzionali

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Dichiarazione di voto in dissenso. Corradino Mineo

Non considero la Costituzione un feticcio intoccabile, anzi credo che la nostra Carta fondamentale abbia bisogno di un buon lavoro di manutenzione. Superamento del bicameralismo paritario, riduzione del numero di parlamentari, ma anche ripensamento della forma del governo e dello stato.

Anche perché da venti anni il nostro assetto costituzionale subisce l’insulto di leggi elettorali incoerenti e di un progressivo svuotamento dei poteri del Parlamento per l’abuso dei decreti e dei voti di fiducia. Sarebbe, dunque, auspicabile un lavoro paziente di ripensamento e revisione delle regole.

Ma per cambiare la Costituzione, modificare l’articolo 138, istituire un comitato di 21 senatori e 21 deputati che lavori a un progetto organico, sarebbero necessari un’ispirazione comune in Parlamento e un vasto consenso nel paese. Purtroppo mi sembra che oggi manchi sia l’uno (il consenso), che l’altra (la comune ispirazione).

Al no alla riforma da parte del Movimento 5 Stelle, cioè della forza politica che ha fatto registrare il successo più rilevante nelle elezioni di febbraio, si è aggiunta, in questi mesi, l’opposizione radicale da parte di un vasto movimento di opinione, formato da costituzionalisti, sindacalisti e associazioni del volontariato. Un movimento che vede nel processo riformatore un pericolo per la libertà e la democrazia e chiama i cittadini a mobilitarsi in difesa della Costituzione. Nè va ignorata l’esistenza di un dissenso anche di destra, sia pure motivato da scelte opposte e che investono le questioni, delicatissime, della divisione dei poteri e dell’autonomia della magistratura.

Manca dunque il consenso, ma ancora di più manca l’ispirazione comune. Dal primo agosto -tutti lo possiamo constatare- la condanna di Silvio Berlusconi per frode fiscale ha innescato una polemica politica molto aspra. Ha mosso la richiesta, irricevibile ma tenacemente riproposta, di annullare con atto politico una sentenza definitiva della magistratura. Si è proposta l’obiettivo, ancora più destabilizzante, di sancire una sorta di immunità giuridica per l’eletto del popolo, o per chi possa contare su di un vasto consenso popolare. Si tratta di un attacco allo stato di diritto e allo stesso carattere liberale della nostra democrazia. Non può, infatti, dirsi liberale il regime che vieti al magistrato di esercitare, con autonomia, il fondamentale controllo di legalità anzitutto su chi rappresenta il potere politico.

Viviamo – inutile negarlo-  uno stato di tensione permanente che ha portato il Governo fin sull’orlo della crisi. Né la tensione è scemata dopo il secondo voto di fiducia al Governo. Tant’è che lo stesso Letta ha auspicato una diversa “maggioranza politica” e il Presidente della Repubblica ha chiesto che finissero “i giochi al massacro”. Giochi che non sono finiti, se appena ieri il PDL ha scelto l’Aventino, disertando la Commissione Antimafia che aveva osato eleggere presidente una donna politica coraggiosa e integerrima come  Rosy Bindi. Persino il messaggio del Presidente Napolitano sul sovraffollamento delle carceri e sulle condizioni vergognose in cui versano i detenuti, è stato piegato a convenienze di parte, invocando l’amnistia e l’indulto come soluzione ai problemi di uno solo, sempre lo stesso, di Silvio Berlusconi.

Mi chiedo con quale serenità, e con quale spirito costituente, si possa lavorare alla riforma della Costituzione insieme a forze che contestano la separazione dei poteri, rivendicano l’immunità giudiziaria per l’eletto, addebitano all’impianto costituzionale responsabilità, errori e incapacità di governo che sono sono invece propri della politica e dei partiti. Oltretutto sulla questione della forma del governo, la sola modifica tra quelle proposte che giustificherebbe la procedura d’eccezione, i saggi incaricati dall’esecutivo non hanno trovato alcuna intesa e si sono limitati a elencare 3 ipotesi di lavoro molto diverse: forma parlamentare, semi presidenziale, governo del Premier.  Una maggioranza parlamentare,non proprio unita, saprebbe fare meglio?

È, dunque, fortissimo il rischio che l’iter riformatore si concluda con un insuccesso. Ma ancora più forte è la probabilità che l’approvazione della legge, l’istituzione della Commissione dei 42,  diventino un alibi, vengano usati per giustificare una navigazione governativa e parlamentare incerta, basata sul non detto, sulle riserve mentali, sulla continua e travagliata mediazione in camere di compensazione ristrette. Da 6 mesi il Senato non fa che trasformare in legge i decreti presentati dal governo. Possiamo continuare così? Possiamo lasciare che il Parlamento rinunci al suo ruolo? Possiamo tirare a campare nell’attesa che lo Spirito Santo scenda su noi renitenti per ispirarci un grande e salvifico progetto di Grande Riforma? Meglio affrontare le questioni politiche, cambiare la legge elettorale, definire il ruolo dell’Italia nella crisi dell’Europa, cercare un’intesa di governo per adottare qualche misura anti recessiva, che nasconderci dietro l’alibi della Costituzione, delle sue (presunte) colpe e della nostra (velleitaria) intenzione di riformarla.

Sono ragioni squisitamente politiche quelle che mi inducono a non confermare il voto favorevole al disegno di riforma costituzionale. Per rispetto delle scelte del mio gruppo e del buon lavoro fatto dal ministro Quagliarello e dalla Commissione Affari Costituzionali, il mio dissenso non si esprimerà con un voto contrario, ma con la non partecipazione al voto

da corradinomineo.it


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