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Che cosa c’entra la Rai con “la fine del ventennio berlusconiano”? C’entra, c’entra

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Alcuni mesi fa, quando è nato il governo Letta, era chiaro che non bisognava disturbare il manovratore e che parlare di riforma del servizio pubblico – anche se nessuno aveva il coraggio di dirlo apertamente – voleva dire rompere le scatole al premier e ai delicatissimi equilibri su cui si reggeva il suo governo. E’ ancora vero? Le priorità – si è detto e pensato da parte di molti – erano altre! E anche oggi le priorità – si ripete – sono la riduzione delle tasse, le misure per la ripresa, la riforma della legge elettorale. Nessun ministro, nessun segretario dei partiti di governo parla di Rai. Ma forse che il futuro del servizio pubblico non è una questione chiave per la qualità della nostra democrazia? Il Pd può permettersi – anche in vista del Congresso – di continuare a tacere e lasciare campo libero a Grillo? Il quotidiano La Stampa ha scritto “E Letta deberlusconizza la maggioranza”. Operazione ambiziosa! E poi, fino a che punto è possibile? > Si può pensare al restauro dell’edificio costituzionale senza tener conto della necessità di dare al servizio pubblico un ruolo più autonomo rispetto al controllo invasivo dei partiti? Ora è vero che l’accoppiata Tarantola – Gubitosi alcuni importanti passi avanti li ha fatti, grazie soprattutto all’imposizione da parte del governo Monti di un’interpretazione più liberal dello Statuto dell’azienda di viale Mazzini, interpretazione che ha svuotato di molti poteri il consiglio di amministrazione. E tuttavia insieme alla riforma del parlamento, alla riduzione del numero dei deputati, a una nuova legge elettorale, forse che non è tempo anche di garantire alla Rai quella indipendenza gestionale che non ha mai avuto? Se la lottizzazione non è stata certo una prassi commendevole all’epoca del proporzionale, con il maggioritario aveva finito per prevalere qualcosa di peggio della lottizzazione: lo spoil system. Con il risultato che la credibilità della Rai era andata progressivamente diminuendo, mentre è aumentato il fastidio per il canone. Oggi la necessità di riformare la Rai è diventata tanto più importante quanto più la politica è in primo luogo sempre di più politica mediatica. Messaggi, organizzazioni e leader che non hanno presenza sui media non esistono nella mente del pubblico. “I media non sono il Quarto Potere. Sono molto più importanti”, scrive Manuel Castells in “Comunicazione potere”. E aggiunge: “I media sono lo spazio dove si costruisce il potere. I media costituiscono lo spazio in cui le relazioni di potere vengono decise tra attori politici e sociali in competizione. Quindi, quasi tutti gli attori e i messaggi devono passare per i media per poter conseguire i loro obiettivi. Devono accettare le regole dell’intervento mediatico, il linguaggio dei media e gli interessi dei media”. Se queste considerazioni sono corrette – e io penso che lo siano – e i media sono il campo di gioco dei poteri che si confrontano nella società, non è tempo – proprio per la qualità della nostra democrazia – garantire che il campo sia neutro e che l’arbitro non sia comprato da una delle squadre in gioco? Starà pure finendo il burlusconismo ma il lavoro della berlusconizzazione è lungo, faticoso, e va aiutato. Magari proprio cominciando a pensare come va cambiata la legge Gasparri. Fra qualche giorno in commissione di Vigilanza si discuterà del nuovo contratto di servizio che il vice ministro Catricalà ha consegnato al Parlamento. Ecco una primissima occasione per aprire un dibattito serio sul futuro del broadcasting e dell’audiovisivo. Nel testo consegnato alle Camere ci sono molte ambiguità e ancora troppi ritardi culturali rispetto a quel tipo di servizio pubblico di cui il Paese avrebbe bisogno nell’epoca della rivoluzione digitale.


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