In pochi giorni, intorno alla vicenda del funerale dell’ex capitano nazista, si è consumata una svolta nella Chiesa: la Santa Sede ha chiuso le porte agli ultratratradizionalisti.
Di Francesco Peloso
Quest’articolo è apparso sul Secolo XIX del 16 ottobre 2013
La lunga storia del ritorno dei lefebvriani all’interno della Chiesa cattolica si è chiusa ieri nell’assedio a un feretro indesiderato fra urla e spintoni. Nel settembre del 2005, otto anni fa, si svolse infatti nel Palazzo apostolico di Castel Gandolfo l’incontro fra il superiore della Fraternità di San Pio X, monsignor Bernard Fellay, e Benedetto XVI. Doveva essere l’inizio di un nuovo cammino di riconciliazione, ma quella strada non è mai stata percorso fino in fondo.
Il priorato dei lefebvriani che ha ospitato il rito funebre di Erich Priebke, si trova fra l’altro ad Albano, cittadina alle porte di Roma, a poca distanza da quella stessa residenza pontificia di Castel Gandolfo in cui tutto ebbe inizio. Quel palazzo è oggi quasi abbandonato da ben due papi che vivono entrambi in Vaticano e in pochi mesi hanno cambiato la storia della Chiesa.
A dare una mano agli eventi è stato il Vicariato di Roma che, con il consenso della Santa Sede, ha deciso di chiudere le porte di tutte le chiese della capitale al mai pentito capitano nazista; dal punto di vista strettamente teologico la scelta può essere discutibile – la misericordia per i morti è un tratto distintivo della Chiesa – ma lo scarto morale e storico, il linguaggio profetico in senso ecclesiale dell’atto compiuto, non lasciano spazio a dubbi: il nazismo con i suoi crimini, le stragi, la Shoah, è contro Dio; il messaggio è fortissimo.
Ratzinger otto anni fa mise a punto una strategia che poneva il recupero dei lefebvriani – i quali avrebbero dovuto accettare almeno i fondamenti del Vaticano II – la riabilitazione dell’antica messa in latino e una lettura dello stesso Concilio nella quale venivano ridimensionate le spinte riformatrici, in un unico percorso. Già a metà del pontificato si comprese che quell’ipotesi non aveva in realtà gambe solide su cui camminare; fu del resto proprio Benedetto XVI – resosi conto dei rischi che si stavano correndo – a porre condizioni sempre più stringenti alla Fraternità per il suo ritorno in piena comunione con la Chiesa di Roma. Quella trattativa è poi definitivamente fallita. Nel frattempo c’è stato il clamoroso incidente della revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani fra i quali spiccava il negazionista Richard Williamson, il che chiude il cerchio con Erich Priebke per il quale lo sterminio degli ebrei è un’invenzione costruita ad arte.
Se c’è un passaggio a vuoto nel regno di Ratzinger, questo è certamente dato dal tentativo di recuperare le frange anticonciliari, operazione tutta intellettuale rivelatasi impossibile nella pratica. Ieri, dal priorato di Albano, hanno per inoltre avuto parole di fuoco contro il vicariato di Roma che aveva negato i funerali a quell’uomo non pentito: “dovrebbero guardarsi loro – hanno detto – dal dare scandalo visto che Bagnasco ha dato la comunione a Luxuria, questo è peggio”; ma la realtà è che si è aperta in questi giorni una frattura insanabile fra il mondo ultratradizionalista e la Santa Sede. Quasi nelle stesse ore infatti il Superiore dei lefebvriani, monsignor Fellay, ha lanciato il guanto della sfida contro Roma. I papi del secondo ‘900, da Pio XII a Francesco – ha affermato Fellay – sono tornati ad essere i traditori della fede; della grande apostasia della Chiesa, ha aggiunto, parla il terzo segreto di Fatima.
Miracolismo, profezia posticcia, visione apocalittica: questi gli ingredienti di una crociata che vede ora il nuovo papa argentino come un nemico da sconfiggere. Quello che sta agendo, secondo Fellay, è satana, per questo “non bisogna più obbedire a questi papi”. “Se continua così – ha aggiunto – l’attuale pontefice dividerà la Chiesa e farà esplodere ogni cosa, e i fedeli non lo seguiranno più”. E’ il ritorno dello scisma ultratradizionalista in grande stile e i lefebvriani sono usciti allo scoperto: c’è una vasta area sotterranea di dissenso profondo verso l’operato di Francesco che, senza dirlo, si riconosce nelle parole di monsignor Fellay.