Il giornalista di Corigliano, minacciato di morte dopo alcuni articoli su questo argomento, descrive il clima di incertezza in cui lavorano molti suoi colleghi
Prima una croce di morte recapitata insieme a un suo articolo, poi l’auto più volte rigata e imbrattata con vernice spray, infine il parabrezza sfondato con un mattone. Matteo Lauria è un giornalista pubblicista, vive a Corigliano Calabro, in provincia di Cosenza, dove lavora per la radio e la carta stampata. Oggi scrive per il Quotidiano della Calabria, ma di redazioni ne ha girate molte nei venticinque anni vissuti da cronista, dalla Gazzetta del Sud alla Provincia Cosentina e a Calabria Ora. “Scrivo di nera, giudiziaria, politica”, dice Lauria a Ossigeno. “Mi sono occupato delle truffe al servizio sanitario e alle assicurazioni”. Impossibile non toccare interessi sensibili.
Ai primi episodi intimidatori, avvenuti nell’arco di circa due anni, aveva ritenuto di non dare rilevanza pubblica. Li aveva considerati effetti collaterali del suo lavoro, limitandosi a informare le forze dell’ordine. Ma al quarto episodio decide di denunciare pubblicamente la situazione. “Come forma di autotutela” scrive, affidando ai social network una lettera, che ha il sapore di uno sfogo.
A Ossigeno spiega la sua situazione e descrive l’ambiente nel quale lui e altri suoi colleghi lavorano. Con lui cerchiamo di capire il possibile movente delle minacce che ha subito. Un interrogativo che anche per il giornalista non ha ancora una risposta.
Riguardo al primo episodio, risalente a circa due anni fa, Lauria dice: “Non gli diedi rilevanza perché di modesta entità. Scrivevo all’epoca su un settimanale e firmavo degli editoriali. Mi arrivò a casa uno di questi pezzi accompagnato da una mia foto con una croce di morte. Feci denuncia ai carabinieri, ma non ne diedi notizia. L’articolo era un pastone di una serie di problematiche, quindi non si capì quale fosse il tema che infastidiva. Non mi è mai arrivata nessuna telefonata, né mai qualcuno mi ha fermato per strada per prendermi per la giacca”. Nessun elemento che gli permettesse di collegare la minaccia a un tema in particolare.
Gli episodi che seguono avvengono tra il 2012 e il 2013. Una mattina il giornalista trova sulle due fiancate della sua Nissan Micra profondi graffi, fatti probabilmente con un punteruolo. Pochi giorni dopo aver fatto riverniciare l’automobile – spese che incidono sensibilmente sulle tasche di un cronista precario – Matteo la trova imbrattata con della vernice spray.
L’ultimo, del quale Ossigeno si era occupato, è quello che porta la data del 10 settembre, quando un mattone viene usato per fracassargli il parabrezza. “Mi sembrano atti di debolezza, più che di intimidazione”, dice, volendo intendere che potrebbe trattarsi più probabilmente di balordi, che di organizzazioni criminali radicate.
Però ancora manca il movente. “In quest’ultimo episodio ho notato maggiore ferocia rispetto al passato – aggiunge -, e quindi ho deciso di renderlo noto”. A quel punto, dopo aver sporto l’ennesima denuncia alla stazione dei Carabinieri, racconta via Facebook l’episodio, sperando che tale pubblicità possa indurre gli aggressori a desistere.
L’ambiente in cui Matteo lavora è quello di Corigliano Calabro, un comune nel cosentino sciolto per infiltrazioni della ‘ndrangheta. Un territorio ad alto tasso di inquinamento criminale dove subire atti intimidatori è ormai da molti considerato normale. Da alcuni anni, però, lo scenario è in movimento. “Una volta i boss si compiacevano della loro presenza sui giornali, perché aumentava la loro popolarità. Qualcuno di loro poteva persino arrivare a voler stringere la mano del giornalista, perché quella notorietà accresceva il potere impositivo sulle vittime”, spiega.
Negli ultimi tempi però una serie di arresti ha decimato le principali cosche della zona, modificando la mappa del potere criminale. Spiega Lauria che la gestione della prostituzione è oggi uno dei principali terreni di conflitto, con bande di stranieri, in prevalenza albanesi e rumeni, che si contendono gli spazi di attività criminale. “Recentemente c’è stato anche un morto”, aggiunge, con riferimento al cadavere di un albanese, ucciso e lasciato sulla battigia. Matteo racconta episodi di crudeltà, come quello contro un anziano picchiato a sangue per rapinarlo di 500 euro e imporgli la “guardiania”, cioè il pizzo, su un terreno coltivato a scopo di sussistenza. “Commettono crimini con una efferatezza mai vista prima.
“La difficoltà – dice Lauria – è oggi quella di interpretare questa lotta intestina tra clan, in uno scenario che si è fatto indecifrabile. Questi soggetti, di 20-25 anni, non si sa chi siano, né come possano interpretare un articolo di giornale”.
C’è anche un altro tema che Matteo indica come campo minato. L’abusivismo edilizio, una delle principali piaghe del suo territorio. “Corigliano Calabro è un comune di 40 mila abitanti dove esistono circa tremila fabbricati abusivi” dice il cronista, che segue con particolare attenzione questo tema, sul quale, secondo lui, si gioca la credibilità delle istituzioni. “A cinquecento metri da casa mia – racconta -, c’è una villa completamente abusiva, per la quale lo Stato ha emesso un provvedimento di demolizione. Quando sono arrivate le ruspe, attorno a questa villa abusiva c’erano circa cinquecento cittadini schierati a difesa”. La villa, neanche a dirlo, è ancora lì, perché la ruspa aveva dovuto fare marcia indietro. Lo Stato si era arreso. “Non possiamo lamentarci delle condizioni fatiscenti delle strade e dei tombini che esplodono con le piogge, se conviviamo con l’abusivismo” dice Matteo. “Gli stessi cittadini che si lamentano sono poi abusivi. È una questione culturale. E io questo lo penso, lo scrivo e lo dico alla radio”.
Come Matteo, altri giornalisti in quella zona lavorano sugli stessi argomenti. “Su alcuni temi”, dice il giornalista, “scriviamo tutti più o meno le stesse cose. Ci sarà al massimo una differenza di stile. Mentre sull’abusivismo c’è una differenza sostanziale. Io dico che bisogna far rispettare le regole senza eccezioni. Mentre altri miei colleghi non sono per la linea dura, anzi, tutt’altro”. Ecco emergere un tema che, in quel territorio, può costituire un serio rischio per un giornalista che ne parli e ne scriva in modo impopolare, anche perché “spesso fra coloro che hanno commesso abusi edilizi c’è gente disposta a reagire con atti di violenza”.
Ma perché non rendere subito pubbliche queste situazioni? “Sono contrario a forme di enfatizzazione o vittimismo”, spiega Matteo. “Per qualsiasi atto intimidatorio faccio sempre le denunce all’autorità giudiziaria. Però occorre sobrietà. Ci sono invece miei colleghi che speculano sulla presunta minaccia o intimidazione”. Secondo Matteo qualcuno, per avere notorietà, dà risalto a piccoli atti intimidatori che bisognerebbe dare per scontati. Lui si comporta in un altro modo e ci tiene a dirlo. “Io ho ritenuto opportuno denunciare pubblicamente quel che mi accadeva solo di fronte al quarto episodio. Qui la ‘ndrangheta esiste, si tratta però di gregari che, sì, incutono timore, ma il clima sostanzialmente non è da città mafiosa. Ci sono colleghi a più alta esposizione dove effettivamente si respira aria di mafia. Penso al reggino, alla Sicilia, o al napoletano. Scrivere da quelle parti è sicuramente più rischioso”.
Il cronista comunque ha sentito intorno a sé una rete di solidarietà. Messaggi ne ha ricevuti da parte dei suoi colleghi più stretti, dalla Cgil, dall’amministrazione locale e dalle associazioni culturali del territorio.
“Comunque”, conclude Lauria, “qui c’è ben altro che lettere minatorie e atti vandalici. Viviamo tra lavoro sottopagato e sfruttamento, a cui si aggiunge il terrorismo psicologico da parte degli editori che sfruttano, con la compiacenza di alcuni direttori responsabili, nel silenzio generale. E questa è la peggiore intimidazione”.
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