Io credo che la vittoria di Sacro Gra al Festival di Venezia (nella foto il regista del film Gianfranco Rosi), al di là del formidabile risultato per il valore artistico di questo “film della realtà”e per l’affermazione della Rai attraverso la sua controllata Rai Cinema, dopo molti anni di delusioni lagunari, significa che finalmente dopo decenni di polemiche pretestuosamente intellettuali sia caduto il concetto di “genere”. Permettetemi un ricordo e una riflessione del tutto personali. Ai primi degli anni ‘70 mi occupavo attivamente di letteratura fantastica , fantascienza, dei cosiddetti “gialli” e sostenevo che Simenon e Bradbury erano grandi scrittori e Agatha Christie sarebbe diventata un classico e c’era molto da imparare da loro per capire come costruire un romanzo e un racconto. Quei pochissimi critici che leggevano i miei articoli non mi prendevano assolutamente sul serio.
Nel tempo le cose sono cambiate, la letteratura fantastica e la fantascienza che a quell’epoca erano considerate espressioni paraletterarie di una cultura di destra, oggi sono rispettate e amate. Insomma, il concetto di “genere” per cui esisteva da una parte la letteratura alta e dall’altra un’indiscriminata spazzatura a volte anche interessante ma pur sempre spazzatura, è volato via. Passiamo ora al cinema.
Qui la separazione tra film e documentario o come lo chiamo io e non solo io “film della realtà” è durata per moltissimi anni. I due generi correvano paralleli e il documentario o “film della realtà” era rispettato dagli addetti ai lavori ma era impossibile che in un Festival importante come quello di Venezia un “film della realtà” venisse iscritto nella sezione film e concorresse al Leone d’oro assieme alle pellicole tradizionali. Quest’anno finalmente grazie anche all’intelligenza di Alberto Barbera (voglio ricordare che la definizione di “film della realtà” è sua) un’opera non di finzione come Sacro Gra ha potuto misurarsi con le altre. E così, non so quanto consapevolmente, la giuria di Venezia e soprattutto il suo presidente Bernardo Bertolucci ha mandato in soffitta il concetto di “genere”.
D’ora in poi nulla sarà come prima! E la mia soddisfazione è forte, perché considero tutto ciò un atto di estrema libertà verso l’espressione artistica liberandola da sbarre apparentemente dorate ma che in realtà la facevano soffrire. C’è comunque da dire che fuori Italia il tema del “genere” é stato superato da tempo. Il “film della realtà” Ward 54 di Monica Maggioni fu iscritto un paio di anni fa da Rai Cinema nella sezione documentari al Festival di Biarritz. Bene, la giuria dopo averlo visto lo spostò d’autorità nella sezione film e Ward 54 vinse il premio Opera Prima.
La produzione della Rai attraverso Rai Cinema di “film della realtà” è da qualche tempo ricca di successi: a partire da Cesare deve morire dei fratelli Taviani Orso d’Oro a Berlino e poi David di Donatello. E ancora Barbara Cupisti che con Madri vinse il David di Donatello e con Fratelli e sorelle il premio Flaiano per la TV e il Premio Ilaria Alpi. E potrei continuare. Credo a questo punto che il successo virtuoso dei “film della realtà” possa aiutare la Rai a rispettare sempre più la sua vocazione di “servizio pubblico”.