C’è un quadro di Filippo Palizzi, uno tra i più importanti esponenti della Scuola Napoletana di pittura dell’Ottocento, si chiama “Vista di Carditello” e rappresenta una scena campestre, con contadini che zappano e arano una terra apparentemente ricca, fertilissima, piena di acqua e di vita, un vero paradiso terrestre. Non si tratta del classico paesaggio bucolico, inventato, della pittura settecentesca, è, al contrario, una vera scena di vita, una fotografia dipinta su tela – Palizzi era noto proprio per essere stato il primo a dipingere paesaggi basandosi su fotografie-. Il quadro, che potete visitare presso lo splendido Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli, è dunque una “fotografia” su tela del paesaggio intorno alla Reggia di Carditello nel 1851.
Oggi la Reggia di Carditello, l’antica residenza di caccia dei Borbone, sovrani di Napoli, esiste ancora. C’è una strada che vi si reca, una delle più belle di tutta la provincia di Caserta a mio parere. Per chi viene da Roma, la strada – la SP31 – comincia all’uscita di Capua, seguendo i cartelli verso Casal di Principe.
Subito all’uscita dalla città l’enorme impianto industriale farmaceutico della Pierrel, con il suo acuto odore dolciastro e disgustoso. La Pierrel di Capua produce farmaci iniettabili in fiale, tra questi i chemioterapici, utilizzati nella cura dei tumori. Ed eccolo il benvenuto nella Terra dei Fuochi, detta anche Terra dei Paradossi, qui, dove una delle principali multinazionali farmaceutiche mondiali avvelena il territorio per produrre la cura contro i mali causati in parte dai suoi stessi veleni, sversati a tonnellate nell’aria 24 ore al giorno.
Da qui, dunque, parte la Strada Provinciale 31, attraversando quella che una volta i Romani chiamavano la Campania Felix, la terra più ricca del mondo. La strada nei primi chilometri prosegue dritta come un fuso in mezzo alla campagna, tra campi di granturco e di tabacco. Qualche volta, se la si percorre di sera al buio, non è difficile vedere ai lati le lucciole.
Terra dei Fuochi, ma anche Terra delle Illusioni. Le lucciole ed il granturco durano infatti solo pochi chilometri, perché subito prima di un bivio si arriva a costeggiare un terreno arido, senza un filo d’erba, grigio di terra, di sabbia e di quelli che dall’odore sembrano bitume, fanghi e scarti della raffinazione del petrolio sversati lì da anni, a tonnellate, sicuramente di notte, con l’approvazione del proprietario di quei terreni a cui i pochi milioni di lire dati in cambio significavano campare per un’altra stagione, perché il granturco e il tabacco non rendevano più come in passato.
Si continua ancora per tre chilometri ed ecco che un puzzo tremendo, come di acido solforico, ti devasta le narici. Poco più in là si scorgono dei montarozzi, chiusi da reticolati, i cartelli con la scritta nera su fondo giallo dicono: “DISCARICA DI SAN TAMMARO, VIETATO L’ACCESSO AI NON ADDETTI”. La discarica di San Tammaro, quella ufficiale. Intorno altri montarozzi, senza reticolati che li circondano e senza cartelli. Sono le altre discariche di San Tammaro, quelle abusive, dove i camion della camorra hanno sversato per anni centinaia di tonnellate di fanghi industriali, scorie della lavorazione dei metalli, amianto e scarti dell’industria chimica del nord. I Regi Lagni, i fiumi artificiali fatti costruire nella zona dai Borbone nel’ 700 per permettere l’irrigazione di quelle terre già fertilissime, oggi sembrano dei fiumi infernali, lo Stige e il Flegetonte, neri, vischiosi, pieni di ogni sorta di rifiuto.
A due chilometri di strada da San Tammaro ecco apparire Carditello, o meglio, quello che ne rimane. Un gioiello dell’arte rococò che resiste a stento. Abbandonata, la Reggia ha subito per decenni furti e saccheggi. Colonne, pavimenti, stucchi, marmi: una cava a cielo aperto. Tutto si sono portati via, persino gli stipiti di metallo delle porte. Lo Stato si è semplicemente “scordato” per decenni di questo gioiello, così come si è scordato di tutto il territorio dell’agro aversano, ed ora Carditello rischia di diventare una dependance per privati, perché lo Stato, che improvvisamente si è ricordato della sua esistenza, non ha intenzione di spendere un euro per il suo recupero, e anzi preferisce vendere la Reggia al migliore offerente – o al peggiore, visti i tentativi della camorra di acquistarlo -.
Pochi chilometri da Carditello e si entra a Casal di Principe, con il suo stadio, quello dell’Albanova, simbolo dell’ “epoca d’oro” del regno Schiavone. Proprio lì accanto, dice Carmine Schiavone, furono sepolti centinaia di fusti di veleni. Ora tutti lo sanno, ma anche prima lo sapevano tutti.
Mi ritorna in mente ancora quel quadro di Palizzi: si vedono i Regi Lagni limpidi, costeggiati dall’erba fresca e dai fiori. I contadini, distrutti dalla fatica, ma non dal tumore. Imprimiamocela bene quest’immagine, perché quella è la vera fine del viaggio.