“…Lo avvistammo in una cabina telefonica mentre eravamo in macchina. Andammo a prendere l’arma. Toccava a me. Ero io quello che sparava. Spatuzza gli tolse il borsello, e gli disse: padre, questa è una rapina. Lui rispose: me l’aspettavo. Lo disse con un sorriso. Un sorriso che mi è rimasto impresso. C’era una specie di luce in quel sorriso…”. E’ Salvatore Grigoli che parla; è un killer di mafia. Ha ucciso almeno 40 persone, poi si è pentito. Grigoli, assieme a Gaspare Spatuzza, lui prima di pentirsi commesso una cinquantina di omicidi, uccidono don Pino Puglisi, parroco di Brancaccio, quartiere degradato di Palermo.
Lo uccidono il 15 settembre di vent’anni fa, don Pino. Sta rientrando a casa, proprio quel giorno compie 56 anni. Per lui è stata una giornata come quelle di sempre: di lavoro, tra giovani sbandati, donne da aiutare perché faticano a mettere il pranzo con la cena, anziani che non hanno assistenza. Solo ora pensa di concedersi qualche ora di riposo, e festeggiare con gli amici e i collaboratori il compleanno: una fetta di torta, un bicchiere di vino…L’ordine di ucciderlo viene dai fratelli Graviano, boss del quartiere, fedelissimi dei corleonesi. Don Pino è popolare, la gente del quartiere gli vuole bene; e allora pensano di simulare una rapina di tossici che finisce male. Ma perché la Cosa nostra vuole eliminare questo sacerdote? Certo, don Pino è scomodo: strappa i ragazzi dalla strada, dove molti di loro spacciano droga per conto dei mafiosi, insegna loro l’amore per la legalità, con il suo esempio che vale più di mille discorsi e di cento cortei, pesta troppi piedi troppe volte…
E poi…la Chiesa non sta più al suo posto. Bei tempi quando c’erano parroci compiacenti, quando i cappellani carcerari si prestavano a fare da tramite tra i boss in carcere al Grand Hotel dell’Ucciardone e i “picciotti” ancora fuori, quando don Agostino Coppola sposava, sapendo benissimo chi erano e non trovando nulla da dire essendo lui stesso un mafioso, Totò Riina, ù curto con Ninetta Bagarella…Bei tempi, pensano i boss. Ma non ci sono più i preti di una volta…E ci mancava Giovanni Paolo II: il 9 maggio del 1993 ad Agrigento quel papa venuto dalla Polonia, pronuncia parole di fuoco: “…Mafia! Non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio! Questo popolo, popolo siciliano, talmente attaccato alla vita. Popolo che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte…Lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!”.
Bisognava dare un segnale a una Chiesa che mai come allora denuncia la mafia, bisognava farla pagare a chi, come don Pino, la sfida apertamente, e il suo esempio può ridare speranza e coraggio, e può essere imitato da tanti altri; a chi comunicava valori nuovi rispetto a quelli trasmessi dalla mafia. Come faceva un semplice prete di borgata chiamato don Pino, ucciso la sera del 15 settembre di vent’anni fa, il giorno del suo 56esimo compleanno.