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‘Presa diretta’, un’altra tv è possibile

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All’improvviso dalla tv irrompe la realtà delle nostre vite di europei, un programma ci racconta, a la crisi nella quale ci troviamo, il senso perduto delle cose.

Di Francesco Peloso

E’ accaduto che ho acceso alla fine della giornata la tv: capito su un ‘dibattito’ politico classico in cui si discetta con serietà cupa sul prossimo videomessaggio del caro leader, l’uomo destinato ai servizi sociali e alle – speriamo – dimissioni da senatore. Dopo una giornata passata ad occuparmi d’altro, guardo le facce impegnate dei contendenti e del conduttore: l’attesa per le parole di fuoco che pronuncerà ‘l’immortale’ sono molte; rifonderà, per l’ennesima volta, il suo mitico partito-azienda? Nel frattempo, nei Tg, il Paese su altri fronti naviga in una deriva di scandali e di arresti che non risparmia nessuno. Il presidente del Consiglio parlerà di lì a poco, sinceramente con sprezzo del ridicolo, di ‘orgoglio italiano’ per il raddrizzamento del relitto grottesco di una nave da crociera immensa affondata miseramente per la dabbenaggine criminaloide di qualcuno.

E però – siamo ancora a lunedì 16 settembre, la Concordia è ancora inclinata, il videomessaggio che non c’è viene studiato dagli ‘esperti’ nei suoi possibili e molteplici effetti; guardo allora per caso twitter e vedo che un anonimo consiglia di collegarsi “anche solo per cinque minuti ” con “Presa diretta”, il fatto, dice, cancellerà d’incanto tutto il parlare di politica dei talk show nazionali.

Accolgo inaspettatamente il consiglio (di solito evito per prudenza, poi guardo Sky), temendo di precipitare in un’inchiesta angosciante sui mali italici. Vengo smentito. Vedo due cose in sequenza e neanche per intero: la storia degli italiani che emigrano in Germania di nuovo, oggi come un tempo. Lasciano tutto, spesso quasi all’improvviso, e partono,perché nelle loro città, nei loro paesi, li attende ormai un destino di miseria. E’ gente come noi, come me, tutt’altro che giovane, persone con un mestiere una storia familiare, degli amici, una vita di relazioni e ricordi che viene troncata di netto. Sono concittadini normali, sono quelli della porta accanto che con lucidità e timore, con il senso realistico delle cose, della vita, ricominciano, nel 2013 in Germania.

La storia è drammatica, ma è anche bella a suo modo, il mondo reale fa irruzione nel salotto di casa e non urla, non strepita; racconta però la fine di una nazione, la nostra, attraverso le cronache dei nostri simili e dei loro figli. Si vede la Germania ricca e potente, organizzata, ma anche dotata di uno stato sociale imbattibile e di una politica industriale di ferro.

Poi c’è il Portogallo, stritolato da politiche ultraliberiste imposte dall’Europa, un Paese alla fame che ho visitato più volte, bellissimo. Anche qui il racconto non è ideologico, parlano di nuovo le persone in fila per i sussidi, l’esplosione della miseria, il suo dilagare, è fotografato nella quotidianità, c’è spazio per qualche valutazione essenziale sull’orrore provocato da certe politiche.

La nostra Europa, quella a cui come italiani presi dal videomessaggio del caro leader non pensiamo, è questa: qui sono i problemi, qui l’euro concepita solo in base a criteri finanziari e non sociali, qui la svendita dei patrimoni pubblici nazionali ad altri Paesi. E’ in una simile deriva del continente che si sbriciola il sogno di un’integrazione democratica e sociale, è in questo percorso dentro le società e le vite dell’Europa che sta il nostro incubo e la nostra sconfitta; lunga tale frattura della vicenda collettiva la sinistra si è ritirata dalla storia, divisa fra succube accettazione delle politiche antiumane di Bruxelles e un antieuropeismo a testa bassa incapace di produrre sogni all’altezza dei bisogni.

“Presa diretta”, all’improvviso fa il miracolo, il racconto diventa denuncia senza dover urlare slogan, la storia siamo improvvisamente e di nuovo, noi, la politica ritrova un senso nei destini singoli e collettivi. L’orgoglio italiano dovrebbe essere questo: riappropriarsi del senso delle cose, promuovere democrazia, capire che la vita si snoda qua, tra lavoro, diritti e bisogno di un minimo di felicità; c’è l’urgenza di riaffermare che l’impresa, il lavoro, l’Europa sono figli di quello che abbiamo costruito – stato sociale, visione del futuro, integrazione – e della voglia di mettere in piedi una società nuova, più giusta si diceva, e l’obiettivo direi è ancora quello.

da ilmondodiannibale.it


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