Papa Francesco, questo pontefice venuto da quasi la fine del mondo, continua a riservare piacevoli sorprese. Se ne va, per esempio, in visita quasi privata al centro di accoglienza Astalli di Roma; incontra decine di rifugiati, dice che è dovere di ciascun cristiano accogliere la persona che arriva, chinarsi su chi ha bisogno e tendergli la mano. Poi parla dei conventi vuoti che devono diventare luoghi di rifugio per chi rifugio non ha, e non devono servire alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare soldi.
Bisogna stare attenti a questo papa. Attenti a quello che dice, e attenti perché possa continuare a dirlo. Domenica, per esempio, papa Francesco ha denunciato senza mezzi termini non solo l’orrore della guerra, ma chi le guerre le alimenta, le nutre, perché sono fonte di enormi guadagni: le guerre fatte per vendere armi. In una parola, il complesso militare-industriale, quell’enorme apparato di potere che condiziona le scelte di governi e paesi.
Quello delle armi è un affare di dimensioni colossali, al pari di quello della droga. Secondo un recentissimo rapporto delle Nazioni Unite, smerciare armi garantisce ai cartelli criminali qualcosa che oscilla tra i 170 e i 320 milioni di dollari l’anno; ma è una stima approssimata per difetto. Il fatturato complessivo infatti ammonterebbe a circa cinque miliardi di dollari. Il traffico di armi legale ha un fatturato di circa 100 miliardi di dollari. Ogni anno. I “mercati” di questo traffico, il vicino Medio Oriente, l’Asia sud orientale, l’Africa sub sahariana. Per lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) il volume di affari legato al commercio delle armi è aumentato del 17 per cento, sia nei cinque anni che vanno dal 2003 al 2007 sia in quello successivo. Il paese che maggiormente esporta armi sono gli Stati Uniti, con un buon 30 per cento del mercato. LA Russia controlla il 26 per cento; seguono Germania, Francia, Cina, Israele, Regno Unito. L’Italia, almeno fino all’embargo, è stata la principale fornitrice di armi, a livello europeo, della Siria. L’Osservatorio permanente armi leggere e politiche di sicurezza e difesa di Brescia, settimane fa, ha documentato come l’esportazione di armi da parte delle industrie italiane (che sono concentrate, appunto, nel distretto di Brescia) nel solo 2012 è cresciuta di ben il 20 per cento, con un fatturato di 316 milioni di euro. “Piccole” armi, come le pistole Beretta che sono molto apprezzate negli Stati Uniti, ma anche in Turchia, India, Russia, Malaysia. Ed erano (e sono) armi italiane quelle che sparano in Libia ed Egitto, in particolare al Cairo l’esercito è dotato di fucili d’assalto Beretta.
Gran parte delle armi utilizzate dai ribelli siriani che combattono il regime di Assad, provengono dal mercato illegale: 4mila dollari per i razzi Katiuscia, 1500 dollari per armi anticarro. Ma costosi sistemi d’arma vengono assicurati al regime siriano e a Hezbollah dall’Iran, che arma anche il Sudan e l’Eritrea; e grazie alla rete di contrabbando, in Mali e in Nigeria.
E’ questa la realtà che si intravede (solo a volerlo fare) dietro le parole domenicali di papa Francesco, che un giorno rende omaggio ai profughi morti in mare, quello successivo abolisce con un semplice tratto di penna l’ergastolo a Città del Vaticano; e poi promuove giorni di digiuno di massa per convincere i potenti ad adottare altre politiche da quelle della guerra.
Papa strano, che sceglie non per un caso, di chiamarsi – primo nella lunga storia della chiesa cattolica – con il nome evocativo di Francesco, ed è capace di gesti semplici e straordinari, che meravigliano, proprio per la loro semplicità e straordinarietà. La straordinarietà e la stranezza di chi è e sa essere “normale”. Non smetterà di sorprenderci e meravigliarci, questo papa.