Personalità di indubbio valore e di conclamata autorevolezza nelle branche di sapere di cui sono eccellenti interpreti. Questo onestamente si deve dire di Claudio Abbado, Elena Cattaneo, Renzo Piano e Carlo Rubbia , nominati senatori a vita dal Presidente Napolitano per colmare i vuoti determinatosi in quel particolare settore dell’emiciclo di Palazzo Madama. Grotteschi, oltre che assurdi, i commenti di qualche esponente della destra, che se mai dovrebbero riflettere sui motivi storici e contemporanei della mancanza di figure del campo conservatore in grado di stare tra potenziali papabili. Ciò non significa, ovviamente, che i prescelti abbiano connotazioni partitiche o ideologiche. Nient’affatto. E sono, piuttosto, l’espressione di un un’Italia di qualità che resiste malgrado tutto; e che permette agli abitanti del villaggio globale di coniugare la nostra essenza nazionale a qualcosa di grande e non alle vignette sul signore di Arcore. E sì, dopo anni di barzellettificio berlusconiano, sembra di respirare. O davvero qualcuno pensava seriamente che proprio l’evocato tycoon potesse assurgere al nobile scranno? Un premio Nobel per la fisica rinomato ovunque, un’illustre ricercatrice applicata alle zone in cui la scienza sconfina nell’ignoto -una donna e giovane questa volta è entrata nella short list- un architetto apprezzato nei più disparati territori del mondo trasformati da non-luoghi a luoghi, un grandissimo direttore d’orchestra cui si deve un po’ di riscatto dell’intorpidito immaginario collettivo. Ecco, a proposito, forse una personalità dell’altro decisivo senso -il cinema- poteva arricchire ulteriormente il gruppo.
Certo, in questo terribile tornante della vita italiana l’annuncio desta qualche sorpresa. Probabilmente la categoria stessa dei «senatori a vita» ha perso parecchio del suo significato originario. E non certo per responsabilità di coloro che ne vengono ora a far parte. Anzi. Ma mentre si parla con insistenza di riduzione del numero dei parlamentari o del limite del bicameralismo, ecco la riflessione merita di essere aperta. Soprattutto, però, emerge dalla scelta presidenziale come l’implicita presa d’atto che al vertice dell’autorevolezza e della credibilità riescono a stare figure della Cultura, dell’Arte, della Scienza. Non della Politica. Quest’ultima appare anche da un simile segno ormai discesa nella serie B. E il declassamento è verosimilmente inesorabile. I commenti «schieramentistici» su future formule di governo sono ridicoli. È bene, invece, ragionare sui sintomi della crisi dell’agire politico di cui dobbiamo prendere atto, per il loro susseguirsi ormai naturale.