Venerdì 13 settembre, il Corriere della Sera era in sciopero per protestare contro la decisione dell’azienda di vendere lo storico palazzo di via Solferino. Una reazione giusta, ma non sufficiente. Il documento con cui si spiega ai lettori la decisione di contestare la scelta aziendale mette l’accento sugli inganni e le assicurazioni non mantenute da parte dell’amministratore delegato Peter Scott Jovane. Un coltello nella ferita che viene rivoltato quando il CDR scrive nel suo comunicato: “Il gruppo Rcs è oberato da debiti causati da scelte compiute nel recente passato (vedi acquisto in Spagna del gruppo Recoletos a valori esorbitanti). L’esposizione finanziaria è stata solo parzialmente ridotta con l’aumento di capitale, appena sottoscritto dai soci”.
Una reazione troppo morbida dalla quale appare chiaro che il sindacato usa il guanto di velluto quando ci vorrebbe il pugno di ferro. Infatti il comunicato termina con una conclusione lapalissiana:” Cari lettori, un’altra via (per risanare le casse del giornale, ndr) esiste e non può che passare da un vero piano industriale che si ponga come primo obiettivo l’aumento dei ricavi. Il Cdr, nei limiti della sue prerogative, farà il possibile perché azienda, direzione editoriale, azionisti mettano subito in campo investimenti, idee editoriali, innovazioni di prodotto”. Una conclusione contraddittoria: ma se l’azienda è oberata dai debiti come può investire, come vorrebbe il CDR e come ragionevolezza vorrebbe?
Qualche mese fa il CDR ha pubblicato un’inchiesta (che riproponiamo qua sotto) dalla quale si evince che dalle sue casse sono spariti 800 milioni di euro, una cifra enorme che basterebbe non solo a risanare il Corriere, ma anche a rilanciarlo, e avrebbe evitato la vendita di alcune testare dei periodici e la chiusura di altre.
L’inchiesta, molto ben fatta, avanza tre le righe l’ipotesi che possano essere stati commessi dei reati nell’acquisto della società spagnola Recoletos, pagata poco più di 1,1 miliardi di euro ma valutata poco più di 200. Qualche settimana fa il Washington Post è stato comprato da Amazon per 159 milioni di euro. E pochi mesi prima Al Jazeera ha comprato negli Stati Uniti Current TV (il network di Al Gore) per meno di 200 milioni di euro. Che la Recoletos valga più del Washington Post e di Current TV messi assieme fa trasecolare e dovrebbe far innervosire anche il più tranquillo dei giornalisti.
Non viene in mente a nessuno che un esposto alla magistratura potrebbe da un lato bloccare le vendita del palazzo di via Solferino e dall’altro permettere un recupero di quei soldi che sono spariti per permettere un serio rilancio della RCS? Se il Palazzo sarà venduto il piatto di lenticchie di cui parla il comunicato del CDR non sarà mangiato solo dall’azienda ma anche dal sindacato che, impaurito e smarrito, non ha saputo reagire con la dovuta determinazione.
L’intervento della magistratura diventa impellente e necessario. Se il sindacato non interverrà (CDR, Lombarda, Romana e FNSI), sarà Senza Bavaglio che invierà entro fine settembre al Palazzo di Giustizia l’esposto.
www.senzabavaglio.info
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RCS/La crisi e l’acquisto di Recoletos. Come abbattere un bilancio in utile
da “Il Comitato di Redazione del Corriere della Sera”
La prossima riunione del Consiglio di amministrazione di Rcs Media Group è fissata per l’8 marzo. In quella occasione i consiglieri saranno chiamati a discutere, tra l’altro, di aumento di capitale, indebitamento ed equilibri finanziari. Il Comitato di redazione, con l’aiuto dei giornalisti del Corriere della Sera, ritiene utile raccontare alle lettrici e ai lettori l’operazione Recoletos, cioè la storia dell’acquisizione che ha portato l’indebitamento di RcsMediaGroup a circa 880 milioni di euro. Una montagna di debiti che rischia di soffocare ogni piano di rilancio e che, dunque, rende urgente e indifferibile un adeguato aumento di capitale. Fino al 2006 il gruppo Rcs era una società in attivo, con un utile netto di 219 milioni e indebitamento praticamente zero. E’ in quel momento che prende forma il progetto di acquisire il gruppo spagnolo Recoletos, che pure non sembrava certo una «magnifica preda».
OPPORTUNITA’
La società spagnola era controllata dall’inglese Pearson, (casa editrice del Financial Times) che, già nel dicembre 2004 era in cerca di compratori. Ma Recoletos rappresentava un’opportunità per una parte della finanza iberica e italiana. L’idea era di rilevare un’azienda con 272 milioni di euro di debiti, rifarle il make-up e rivenderla a qualche gruppo in salute realizzando una grossa plusvalenza. In prima battuta Recoletos fu comprata dalla finanziaria Retos Cartera, il cui azionariato era così composto: il fondo di private equity americano Providence (25.5%); Financial Retos Partners (23.18%); Solter Investments (12.5%); Mercapital (7.5%); Investindustrial (5%) di Andrea Bonomi (ora consigliere di amministrazione Rcs); KutXa (5%); Caja Navarra (5%); Sociedad de administracion de valores immobiliarios (2.32%) e il gruppo bancario Banesto (2 per cento). Un’altra quota, pari al 12% circa del capitale, era in mano al finanziere Jaime Castellanos (presidente di Lazard Spagna) e a Joaquin Guell, allora direttore finanziario di Recoletos e oggi vicepresidente di Lazard Spagna.
«POTENZIALMENTE ILLIQUIDA»
Un rapporto della European Equity Research del gruppo Santander (15 dicembre 2004) significativamente intitolato Bye Bye Recoletos, che recava in copertina l’indicazione «Accept Bid», («Accettare l’offerta»), segnalava che il prezzo pagato dal veicolo di investimento Retos Cartera, 941 milioni di euro, implicava già un rialzo del 19% rispetto ai valori di mercato precedenti. Il documento, inoltre, suggeriva di accettare l’offerta di Retos Cartera, poiché non c’erano «offerte alternative». Infine, il rapporto definiva Recoletos una società «potenzialmente lliquida». Perché allora Retos Cartera voleva acquisirla? Evidentemente l’obiettivo era rivenderla con una plusvalenza. Retos Cartera comprò a fine 2004 per 743 milioni di euro il 79% di Recoletos (941 il valore presunto del 100%), quindi la maggioranza assoluta del gruppo spagnolo, che Rcs acquisirà nel 2007 a 1,1 miliardi per il 100% con un perimetro aziendale ridotto (non c’è la testata free press Què).
PREZZI ELEVATI
La Rcs, dunque, con una scelta discutibile, versa 1,1 miliardi per acquistare il 100% di una società, quando per il controllo naturalmente basta il 51%. Già nel 2003 Rcs aveva deciso di aumentare la quota nel quotidiano El Mundo (in cui era presente dal 1999) salendo dal 52% all’82%, grazie all’acquisto di un ulteriore 30% del capitale dal finanziere Jaime Castellanos, pagando un prezzo molto più alto rispetto a quello sostenuto dallo stesso Castellanos. L’advisor di Castellanos fu la finanziaria Lazard Italia, guidata da Gerardo Braggiotti, ex direttore di Mediobanca. Castellanos e Braggiotti, due figure che ritroveremo nell’operazione Recoletos.
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TOLTA DAL LISTINO
Il gruppo Recoletos, quindi, era stato acquistato in prima battuta dalla finanziaria Retos Cartera. Dopo essere stata acquisita da Retos Cartera, la società Recoletos (editrice tra l’altro del quotidiano economico Expansion e del quotidiano sportivo Marca) venne tolta dal listino spagnolo (quindi diventò non più scalabile) e di fatto messa sul mercato, probabilmente destinata a un compratore già individuato. Il presidente di Recoletos, Jaime Castellanos, aveva anche una forte partecipazione in Retos Cartera, era presidente di Lazard Spagna e all’epoca era già cognato di Emilio Botin, presidente del Banco Santander Botin, a sua volta, intratteneva ottimi rapporti con Luca Cordero di Montezemolo, in quel periodo presidente della Fiat e dunque secondo azionista del patto di sindacato che controlla il gruppo Rcs.
SPONSOR FERRARI
Santander, sia detto per inciso, era presente su molti fronti italiani: sponsorizzava, per esempio la Ferrari, la casa di Maranello presieduta da Montezemolo. Santander, tra l’altro, aveva acquisito Antonveneta e poi l’aveva rivenduta al Monte dei Paschi di Siena, spuntando un’ingente plusvalenza. Nel primo passaggio di mano di Recoletos ebbe un ruolo anche la banca Banesto (azionista di Retos Cartera), presieduta da Ana Patricia Botin, figlia del presidente del Santander e nipote acquisita di Castellanos, nonché (fino all’aprile 2011) consigliere di Generali, azionista del patto Rcs. Ufficialmente il dossier Recoletos arrivò nel 2006 sul tavolo del consiglio di amministrazione di Rcs.
OPERAZIONE RISCHIOSA
L’allora amministratore delegato Vittorio Colao giudicò l’operazione troppo rischiosa. Lasciò il suo posto nell’estate del 2006 e venne sostituito da Antonello Perricone, ex amministratore delegato de La Stampa (controllata dal gruppo Fiat). Da quel momento l’interesse di Rcs per Recoletos diventò altissimo. Perricone era appoggiato da alcuni azionisti del patto di sindacato; gli altri seguirono. Perricone era affiancato dal direttore di Rcs Quotidiani Giorgio Valerio, dal gennaio 2004 amministratore delegato di Unedisa, controllata spagnola di Rcs, cui fa capo il quotidiano El Mundo.
MEDIOBANCA
Rcs per l’operazione si avvalse di due advisor: Mediobanca, cioè il maggior azionista di Rcs, e la Banca Leonardo, guidata da Braggiotti, che nel 2004 era stato advisor dell’amico e collega Castellanos nell’operazione di acquisizione di Recoletos dal gruppo inglese Pearson. Nell’aprile 2007 Rcs completò l’acquisizione di Recoletos, attraverso la controllata Unedisa, e rese nota la somma della transazione: 1,1 miliardi di euro versati a Castellanos e soci, nonostante Recoletos avesse un fatturato 2006 pari a soli 304 milioni di euro.
PUNIZIONE CONSOB
Nel giugno 2008 la Consob intervenne per punire, con una sanzione da 200 mila euro, la mancata trasparenza dell’affare Recoletos. In particolare la Consob contestò ai manager di Rcs di aver “avuto contatti con la controparte”.
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DEBITO: 880 MILIONI
Nell’aprile 2007 Rcs comunicò la cifra dell’operazione di acquisto: 1,1 miliardi di euro. L’indebitamento del gruppo, fino a quel momento, vicino allo zero minò l’equilibrio dei conti. Oggi la casella debiti pesa per 880 milioni nel bilancio Rcs, condizionando in maniera pesante i piani di rilancio e, dunque, imponendo la necessità di ricapitalizzare la società. Certo, in quegli anni la Spagna veniva considerata un Paese rampante, pieno di buone occasioni di investimento. Ma questo discorso non valeva per Recoletos. Un rapporto di Deutsche Bank (Media Publishing Research) datato 8 febbraio 2007 qualificava così i rischi per Rcs dell’operazione Recoletos: “Investimenti pubblicitari più deboli delle previsioni attuali: un declino superiore al previsto della redditività; crescita dei costi del lavoro; sovrapprezzo nell’operazione di acquisizione e fusione”.
PREZZO SPROPOSITATO
L’operazione appariva problematica perché, secondo Deutsche Bank, il prezzo di 1,1 miliardi era comunque spropositato. Gli analisti della banca tedesca sottolineavano: le “very limited financial disclosures for Recoletos”, cioè la scarsa informazione finanziaria offerta dalla società spagnola. Inoltre Deutsche Bank rivelava che all’epoca Rcs aveva una “credit facility” per 700 milioni: soldi che sono stati bruciati per comprare una società, come quella spagnola, con un patrimonio netto di 35 milioni e debiti per 272 milioni.
Ma non basta, il gruppo Recoletos, integrato nelle altre attività di Rcs in Spagna, ha provocato svalutazioni e perdite per centinaia di milioni di euro. Di recente, il l2 febbraio 2013, Guido Roberto Vitale, già presidente di Rcs Mediagroup, ha dichiarato all’agenzia di stampa Adnkronos che i soci di Rcs Mediagroup hanno “sicuramente delle responsabilità per la situazione che si è determinata nella società, che sta per varare un piano industriale che prevede 800 esuberi, la cessione o la chiusura