Michela Murgia e Riccardo Romani intervenuti su informazione e femminicidio: gli stereotipi partono anche da noi.
Di Gegia Celotti
Interessante incontro quello di Michela Murgia con Riccardo Romani, giornalista di SKY, su come l’informazione parli della violenza sulle donne e in particolare del femminicidio.
Gli esempi li conosciamo fin troppo bene: “L’amava troppo”, “È stato colto da raptus”, “Folle di gelosia”, fino ad arrivare al “Caldo killer”. Almeno seicento persone che volevano sapere come i giornalisti ne parlino; a volte criticandoci, a volte criticando le leggi, la società e i modelli culturali proposti.
Noi potremmo raccontare meglio, non usare stereotipi che mistificano la realtà e dare più spazio alle tematiche che riguardano il rapporto uomo-donna. Il nostro ruolo non dovrebbe essere solo raccontare il fattaccio quando accade, ma giorno per giorno stigmatizzare gli atteggiamenti dominanti anziché esaltarli, dare modelli diversi e non competitivi, insomma c’è bisogno di una piccola rivoluzione culturale, anche da parte nostra, che metta al centro la dignità della donna.
Il femminicidio ha portato la scrittrice a riflettere sulla nostra “educazione sentimentale” e su come non siamo stati educati all’abbandono, come “Non sappiamo dirci addio” e come, molto spesso l’amore diventi una gerarchia di potere e di possesso. Emblematico il gioco delle catene e dei lucchetti su Ponte Milvio.
Catene che rappresentano non l’amore ma l’appartenenza, la proprietà (si lega la bicicletta), la sudditanza (si legano gli animali) e la privazione della libertà (si incatenano i prigionieri). Lunga la strada per liberarci dall’idea che le donne possano essere possedute.
L’incontro è stato sponsorizzato dall’Ordine nazionale dei giornalisti che da quattro anni promuove gli incontri “Le parole del giornalismo” tra autori e giornalisti.