“Non farò il re travicello”, ha detto Enrico Letta. Subito Fabrizio Barca, si è chiesto con un tweet se il Premier non minacciasse per caso di trasformarsi in una serpe spietata. Ovvero nel Re cattivo che lo Zeus di Esopo manda fra le rane, colpevoli di aver irriso il buon Re di legno, appunto “travicello”. Mercoledì Letta chiederà la fiducia in Parlamento, una fiducia – ha anticipato – “per durare fino al 2015”. Come, frantumata la cornice delle larghe intese, ce lo dirà tra due giorni. Incrociamo le dita!
La Stampa: “”In aula per la fiducia”. Per il Corriere: “Letta non si dimette e rilancia”. Ma già il Fatto va al nodo: “La setta del condannato in rivolta”. Repubblica: “Berlusconi spacca il partito”. Il Giornale di “famiglia”, a suo modo, conferma: “Letta e Napolitano al mercato dei voti”. È vero? Riusciranno Letta e Napolitano, dopo aver sopportato per mesi ricatti e ingiurie, a staccare da Berlusconi una parte del PDL, consistente quanto basta per assicurare altri 18 mesi di navigazione al governo?
Oggi, faccia a faccia tra il Cav e i “suoi” 198 parlamentari. Ci sarà Angelino Alfano, ideatore dello slogan “saremo diversamente berlusconiani” e Gaetano Quagliariello che ha invitato a casa i ministri “dimissionati” per dire loro: “non entrerò in questa Forza Italia”. Un partito, cioè, che per Beatrice Lorenzin è ormai “simile ad Alba Dorata, e considera traditori chi la pensa diversamente”. Ci sarà Cicchitto e Lupi. Tutti costoro detestano ormai i cavalieri dell’apocalisse, Santanchè, Verdini, Capezzone e Bondi. Ma nessuno, per ora, dice di prevedere un orizzonte politico senza Berlusconi, che anzi invitano a cacciare dal tempio i mercanti, gli estremisti da Forza Italia.
Non credo che Berlusconi possa fare marcia indietro. Che possa dire: “va bene, votiamo di nuovo la fiducia, ma Letta ci dia retta sulle tasse”. L’uomo è ossessionato dal proprio personale destino. Gli hanno spiegato che dopo la “decadenza” da senatore, potrebbe arrivare l’arresto. A Napoli, infatti, quel gaglioffo di De Gregorio lo chiama in correità per corruzione di senatori. Reato che, il capo di Forza Italia, potrebbe ben reiterare, e tanto basta a giustificare un ordine di custodia cautelare. Dunque B proverà magari a blandire la pattuglia dei dissidenti, ma tirerà avanti, contro Letta e contro Napolitano che, a suo modo di vedere, lo avrebbero tradito. Allora la domanda potrebbe essere: quanto ci metteranno i moderati di Forza Italia ad elaborare il lutto? Basteranno 24 ore per consentirgli di votare la fiducia al governo e divorziare con il loro antico mentore?
Dico subito che se Letta riuscisse a spaccare il PDL, sarebbe un bene per il paese. In primo luogo perché sarebbe un bene per la destra. Ne libererebbe una parte dalla maledizione del conflitto d’interesse, dallo schema della, politica come bingo, ingoio tutto, partecipo alla più indecente delle coalizioni, per puntare al jackpot. Una destra che torni europea farebbe bene al paese. Ma se Enrico Letta vuole perseguire tale obiettivo, dovrà badare a due cose. La Prima: gli toccherà mostrarsi inflessibile nella difesa dello stato di diritto e dei valori della democrazia liberale. Le sentenze in giudicato si applicano. Mai più un politico, eletto dal popolo pretenda che i magistrati non esercitino, in primo luogo su di lui, il dovere del controllo di legalità. Si chiuda un pagina.
La seconda cosa su cui Letta non dovrà sgarrare è la scelta delle cose da fare, del programma con cui governare insieme a una destra liberata da Berlusconi. Poche cose che riguardino il lavoro, le tasse, l’Europa e la riforma elettorale. Con un’indicazione di tempi certi, e non lunghi, in cui realizzarle. Nemmeno una parola sull’imbroglio delle larghe intese, basta la bugia che si possano fare riforme costituzionali così ampie da non potersi dire prima in quale direzione, tanto azzardate da prevedere procedure eccezionali.
Insomma, se non vuole che gli si rinfacci l’inconsistenza dell’ipotesi da cui nacque il suo primo governo, Letta deve dar prova di concretezza, realismo e modestia. Pronto a lasciare (ma questo lo ha già detto) se la pattuglia dei dissidenti non se la sentisse di rompere con il Cavaliere. In questo caso, l’unica strada è un governo, guidato da una personalità terza (non del Pd) che si proponga di approvare legge di stabilità, legge elettorale e di portarci a elezioni politiche insieme a quelle europee.
Qui vengono i problemi. Sempre gli stessi. I cantori del nulla politologico, le vestali della stabilità come feticcio, già lanciano alti lai. “Con la proporzionale e un sistema dei partiti esausto – scrive sul Corriere Angelo Panebianco – ingovernabilità e caos politico rischiano di accompagnarci per molti anni a venire”. Balle. Caos e ingovernabilità li abbiamo avuti dal 2006 al 2011, con il bipolarismo forzato che produceva “coalizioni insincere”. Poi, negli ultimi due anni, alleanze contro natura nel nome della stabilità, hanno esteso anziché ridurre il sentimento di sfiducia e di diffidenza degli italiani nei confronti delle istituzioni. Ed è questa esperienza che ci riconsegna “un sistema dei partiti esausto”. Tutto è meglio che proseguire nell’errore. Anche un Parlamento con 4 o 5 forze politiche, ognuna senza i numeri per governare. Il primo partito sarà costretto a guidare una coalizione. Tratterà a lungo, come sta facendo a Berlino Angela Merkel, ma alla fine ce la farà.
La vera urgenza per una buona politica, è dire la verità al Paese. Contare per quel che si è capaci di costruire. Senza scorciatoie che, lo sappiano, finiscono con il favorire i peggiori ricatti. In fondo “il re travicello” è quello che esercita il suo potere grazie alla consapevolezza delle rane che un re ci vuole. Un re che si mangia le rane resta senza regno.