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Doppia farsa. Il caffè del 26 settembre

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Un solo titolo per tutti, il solito destino per l’Italia. Notizia: “Il PDL annuncia le dimissioni di massa”, Corriere della Sera. Western: “La sfida dei parlamentari PDL”, La Stampa”. Giubilo: “Si dimettono tutti”, Il Giornale. Interpretazione: “La sedizione del Caimano. Dimettiamoci tutti”. Il catalogo è questo: “Berlusconi al PDL: dimettiamoci tutti”.

Cosa sia davvero accaduto nell’assemblea di deputati e senatori della destra è presto detto. Corriere della Sera, pagina 3. “Non dormo da 55 giorni, persi 11 chili. La sinistra vuole che vada in galera”. Ma si dimetteranno davvero? Dice Martino: “è una manifestazione di amicizia per Berlusconi, niente di più”.  Sallusti, invece: “Non credo che l’annuncio sia reversibile. O nelle prossime ore Napolitano si sveglia e fa qualcosa per evitare gli effetti di un golpe politico giudiziario, oppure governo e magistratura sono al capolinea”

Napolitano, chiamato in causa.”Se è un diktat a me, non passa”, Repubblica. Poi, assicura: “verificherò cos’hanno deciso”. Secondo La Stampa: “Nessuno s’illuda che io sciolga le Camere. Il Presidente, infuriato, ha pronto nel cassetto la lettera d’addio”. È vero che al momento della sua rielezione, il Presidente aveva ventilato la possibilità di dimettersi se Pd e PDL non avessero mantenuto gli impegni presi. E se si dimettesse sarebbe impossibile interrompere la legislatura senza eleggere, prima, un nuovo Capo dello Stato. Anche nella improbabile evenienza che tutti i 188 deputati e senatori di Forza Italia dovessero rinunciare al mandato parlamentare.

Le reazioni di Letta, Epifani e del gruppo dirigente del Pd, tanto più infuriate quanto più si erano sforzati, in questi mesi, di portare avanti il fardello del ricatto pur di proseguire con le larghe intese. Quanto a me, da mesi rassegnato alla verità, scrivo che non c’è nessuna possibile soluzione politica per Silvio Berlusconi: dietro i 4 anni, in giudicato, per Mediaset, ci sono i 7 in primo grado per Ruby, l’evidenza che Tarantini otteneva favori da Berlusconi e in cambio gli riempiva la casa di giovani prostitute, la chiamata in correità di De Gregorio per la compravendita di Senatori al fine di abbattere il governo Prodi, i ricatti e le tangenti di Lavitola. Solo un colpo di stato, l’abolizione del principio dell’uguaglianza della legge, l’arresto e la decadenza per decine di magistrati, potrebbe salvare B.

Intanto il Pd è alle prese con un’altra crisi, Quella aperta da Peppino Lupo, segretario del Pd siciliano, ex CISL, amico di Franceschini, appoggiato dagli ex DS Cracolici e Crisafulli, ai danni dell’ex comunista Rosario Crocetta, primo Presidente dichiaratamente omosessuale della Regione Sicilia.

Che ha fatto Crocetta? Lo accusano di essere “un uomo solo al comando”, di fare di testa sua, talvolta di correggersi in corsa, di giocare il ruolo della chioccia in una giunta senza politici di professione, di appoggiarsi troppo a Confindustria Sicilia e al suo presidente Montante, di usare in modo troppo disinvolto (per mano del fido senatore Lumia) comunicazioni giudiziarie e indiscrezioni dalle Procure, allo scopo di compilare liste di buoni e cattivi e di usare l’antimafia come un manganello.

Che cosa vuole Lupo? Non mi pare che la sua preoccupazione sia quella di definire un programma alternativo e fondare su basi più solide il lavoro del governo regionale. Da tempo gli avevo proposto di promuovere un convegno, con l’assessore al bilancio Luca Bianchi, magari con l’aiuto di Fabrizio Barca, di ricercatori universitari e sindaci siciliani, imprenditori e sindacalisti, per tentare un bilancio dell’attività di governo e immaginarne il rilancio. Ma credo proprio che a Lupo e a Cracolici, queste sembrino solo chiacchiere. Loro pretendono un rimpasto del governo, con l’ingresso di assessori di peso, dunque non amministratori ma politici e parlamentari regionali, per trasformare la giunta del Presidente Crocetta in una cabina di regia. 

Da un lato un uomo che si fida solo (e forse troppo) di se stesso, dall’altro un partito tardo doroteo, che pretende il bacio della pantofola. “Fra di noi del Pd siciliano – ha detto in direzione Crisafulli- ci fidiamo e ci rispettiamo”. Fuori gli infedeli, i dubbiosi, i seminatori di zizzanie. A cominciare dagli assessori di area Pd che sembrano restii a dimettersi. Lupo replica : “o si resta in Giunta e si va con il Megafono, o ci si dimette e si resta con il Pd”. Minaccia di espulsioni, si sarebbe detto un tempo, ma nel partito tardo doroteo la si presenta come  presa d’atto, provvedimento di decadenza dal Pd da far adottare alla Commissione di Garanzia. Così come, in questo i neo dorotei non parlano di questione morale come questione politica quando il vertice del partito a Messina, e lo stesso segretario regionale prima di Lupo, vengono investiti da provvedimenti giudiziari che ipotizzano l’uso improprio e affaristico della Formazione, una delle fonti di spesa più rilevanti della regione. “Abbiamo regole – assicura Lupo- c’è la commissione di garanzia”.

Naturalmente esiste in Sicilia un problema Megafono. Si chiama così la Lista Crocetta, alleata del Pd, che da tempo però lo stesso Presidente e il suo fido Lumia usano come una corrente esterna alternativa alle correnti interbe, con la quale reclutano forze “liberate” dalla crisi del centro destra e promuovono candidati sindaci alle amministrative. Ma il partito tardo doroteo ha la responsabilità di aver tollerato e avallato questo andazzo, quasi che il problema non fossero le scelte ma il chi le faceva. Ricordo di aver chiesto a Lupo se dovessi andare a sostenere il candidato sindaco per Ragusa: un uomo perfino antropologicamente lontanissimo dalla sinistra. Mi disse di sì e, più grave, per il secondo turno fece “scendere” da Roma addirittura Epifani. Risultato: il “nostro candidato, appoggiato da tutti, Pdl compreso, battuto 70 a 30 dal candidato del M5S sostenuto da SEL e Rifondazione.

La mia proposta? Dimissioni di Lupo e congresso aperto. Un garante che gestisca in modo trasparente e indipendente dalle correnti il tesseramento 2013, che chieda ai circoli di riunirsi o di ricostituirsi, convochi assemblee pubbliche in tutte le città della Sicilia con i candidati nazionali alla segreteria. Poi elezioni del prossimo segretario regionale con il metodo delle primarie.

Per quanto riguarda il governo regionale, congelarne la crisi e convocare una Convenzione per la Sicilia: assemblea di sindaci e imprenditori, dei deputati regionali e nazionali, delle associazioni del volontariato e della cittadinanza attiva, dei sindacati, della cultura siciliana. Con l’obiettivo di tirare un bilancio meditato dell’attività del governo e di individuare le linee del futuro programma. Crocetta non potrebbe sottrarsi.

da corradinomineo.it


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