Nella conversazione con Giuseppe Tornatore contenuta nel libro ‘Io lo chiamo cinematografo’, il regista Francesco Rosi ricorda le vicissitudini legate al film Salvatore Giuliano. “Per presentarlo a Venezia lo montammo in 72 ore consecutive. Per tre giorni, al vecchio Istituto Luce abbiamo solo montato. Lì c’erano sale di montaggio che erano capolavori, ognuna grande quanto il salotto di casa mia”. Poi si sa come andò l’immensa opera del regista napoletano, anzi come non andò a Venezia, respinta dalla commissione selezionatrice con una motivazione ufficiale puro pretesto per evitare le grane che il film avrebbe portato inevitabilmente con sé. Era il 1961, ma la storia rimane indicativa a decenni di distanza. “E’ bellissimo, ma non è un film, è un grande documentario”, si disse. L’equivoco proseguì negli anni e nel libro di cui parliamo, Francesco Rosi racconta di essere intervenuto ancora recentemente per sollecitare una correzione sulla Garzantina dove alla voce dedicata al film si poteva leggere: “…non si era mai visto utilizzare materiale di repertorio in questa maniera”. Ma come?! in ‘Salvatore Giuliano’ non c’è un solo fotogramma di repertorio!
Forse è un gioco beffardo del destino se oggi un altro Rosi, Gianfranco, ha vinto la 70° edizione della Mostra del Cinema di Venezia con Sacro Gra e tutti i giornali e i critici hanno titolato e sentenziato: per la prima volta a Venezia trionfa un documentario. La vittoria di genere è una bella notizia, la scelta un atto di coraggio e se inevitabili commenti maliziosi l’hanno accompagnata, ormai è fatta. Il tempo ci dirà se con Sacro Gra aprirà la strada – una sorta di atto riparatorio – al superamento di una diffidenza storica e preconcetta che oppone e distanzia film e documentario, due forme di linguaggio cinematografico i cui confini si sono fatti sempre più labili e ormai puramente teorici.
Vorrei dire che il documentario e i suoi autori in Italia sono vivi e vegeti. Non so se, come spesso si dice, “ il documentario è il territorio della libertà” in quanto le condizioni produttive sono più indipendenti e meno complesse, ma è senz’altro importante che anche i media ne rilevino l’esistenza e la potenza. Al di là di nomi e titoli – raramente menzionati – il 2012 e il 2013 sono stati anni di intensa produzione e di elevata qualità. E all’estero, dove il pregiudizio non ha mai insidiato il documentario, hanno avuto senza dubbi meno difficoltà ad accorgersene. Una breve e facile ricerca via Internet ci enumera in modo netto i piccoli e grandi festival dedicati in Italia al documentario o al “cinema del reale”, come i più pignoli usano catalogarlo; quante anche le rassegne organizzate da circoli, associazioni, enti pubblici, parrocchie. Sono dati che non fanno botteghino: il documentarista, si sa, si muove anche solo a fronte del rimborso spese, il dvd per la proiezione in tasca e nella valigetta qualche copia per la vendita al pubblico con o senza bollino siae. Ma queste sono proiezioni che fanno pubblico, che riempiono le sale dismesse o riaperte nei giorni di chiusura, che rispondono ad una richiesta reale e vivace. Personalmente, una delle domande più frequenti che mi viene fatta, è: Ma dove posso acquistare il tuo film? Forse è questa l’unica vera differenza tra un regista e un documentarista: al primo, a nessuno verrebbe mai in mente di chiedere una copia del film, del secondo si amerebbe averla quasi a ricordo come di un evento raro, difficilmente ripetibile.
E’ a questo “altrove assente” che oggi la Rai potrebbe offrire una casa, avviando – prima in Europa – un’esperienza di formazione, produzione e distribuzione dedicata al racconto della realtà attraverso le immagini. Per questo ho aderito senza esitazioni al progetto del Laboratorio permanente Rai che sarà presentato e discusso martedì 17 settembre alla Casa del cinema a Roma. Anche se il documentarista di solito si muove su tutta la linea (sceneggiatore, regista, produttore, ufficio stampa e distributore di se stesso), non spetta a me indicare l’assetto aziendale di questa auspicabile nuova struttura. In questi giorni ho avuto modo però di verificare l’attenzione interna che la proposta ha suscitato: in molti fanno sapere alla Rai che ci sono e sono pronti.