La fascia d’età (25/35 anni) potenzialmente idonea a mettere su famiglia negli ultimi tre anni ha raggiunto il 17,8% per disoccupazione. Nel 2007 era la metà. Chi non lavora non fa l’amore? I tempi del duo Mori-Celentano ci fanno sorridere. Quello lo può fare (almeno fino a che le pensioni dei genitori forniranno loro energie sotto forma di quotidiani 3 pasti caldi) ma la procreazione, per ovvie ragioni, è bloccata…
Questo milione circa di cittadini, a parte l’amore, che sa fare? Nessuno lo sa, manco loro. Finite le medie inferiori, un tempo colonne d’Ercole delimitate dal “se non hai voglia di studiare vai a lavorare”, i virgulti si sparpagliano nelle “superiori” per istituti tecnico-professionali e licei. Finite pure queste, le famiglie e i virgulti (ormai piante radicate di certa consistenza) si chiedono: “e mo’ che faccio?” Per quelli che vogliono diventare lavoratori dottori/ingegneri la risposta è l’obbligatoria università come d’obbligo fu la prima elementare. Poi (a differenza degli undicenni cui è vietato, almeno ufficialmente, lavorare), come tutti gli altri fermatisi (ma non formatisi) alle superiori, saranno protetti dal nostro fondamento costituzionale: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono di fatto il pieno sviluppo della persona umana? Ma certo che no! A parte chela Carta non menziona tempi di rimozione, tocca a ciascuno di noi rispondere non più al “mo’ che faccio?” bensì al “mo’ che so fare?!” E qui t’accorgi che gli ostacoli da rimuovere sono nulla rispetto a quelli che sono stati aggiunti…
Sono almeno 15 anni che l’Europa ha istituito la “certificazione nazionale delle competenze” (in Irlanda è riconosciuta fin dal ’99, in Francia dal 2002, l’Italia è fanalino di coda): è una sorta di patentino professionale rilasciato da centri professionalmente e istituzionalmente riconosciuti sul territorio i cui criteri sono analoghi in tutta Europa. E’ ormai comprovato che questa certificazione è considerata dai datori di lavoro garanzia principale per capire cosa il candidato SA FARE: in subordine la lettura dei curricula. S’è già riscontrato, infatti, che non sono poche le aziende italiane che assumono stranieri dotati, a differenza dei connazionali, di questa certificazione. In tal senso a Genova la scorsa settimana s’è tenuto un seminario (XXV edizione del Seminario Europa organizzata dal Centro Italiano Opere Femminili Salesiane – Formazione Professionale -CIOFS-FP) con autorevoli interventi tra istituzioni italiane ed europee, avente per oggetto la mancanza di titolo specifico professionale e perciò la scarsissima attenzione del nostro Paese verso la formazione (non già pezzi di carta) professionale da suddividere in almeno 10 livelli: dalla certificazione di base al dottorato. La formazione professionale insegna ai giovani un mestiere e può reinserire i lavoratori che hanno perso l’occupazione, magari proprio perché frutto di lavoro imbastardito più che qualificato. In pochi hanno valorizzato il convegno.
La carenza di (in)formazione ha preso il sopravvento?