Il “sabato santo” del popolo italiano non è stato minimamente turbato dalle bizzarrie ottuagenarie del Mago di Arcore. Negli ultimi scampoli di sole settembrino, che ritardava un’estate turbolenta e non troppo generosa per gli amanti del mare, gli italiani se la godevano sulle spiagge dorate, senza sentirsi toccati dalle mosse pruriginose di un Berlusconi ormai in chiara mancanza di ossigeno, come quei ciclisti che al Campionato del mondo scoprono dopo una lunga fuga solitaria di avere i crampi alle gambe e il fiato corto.
Ripreso a pochi kilometri dal traguardo della sua longevità politica, Berlusconi ha preferito gettare le carte sul tavolo, quando le sue mani di poker erano sempre più perdenti nonostante i tanti bluff da consumato giocatore. Ed ecco la mossa “tana libera tutti”: via dal governo “amico” del Letta “nipote” e poi chi vivrà, vedrà!
Lo ha fatto di sabato, a mercati chiusi, dopo che le sue aziende avevano terminato una settimana di passione in Borsa, sempre in calo, e mentre alcune società di analisi pubblicavano report negativi sull’andamento della raccolta pubblicitaria per Mediaset, che a fine anno potrebbe perdere anche il 4% di pubblicità con un utile in ribasso a 28 milioni di euro, rispetto alle stime precedenti di 61 milioni (va ricordato che quest’anno il biscione ha chiuso per la prima volta in rosso il bilancio 2012). E mentre si prevede un aumento delle entrate pubblicitarie per la rivale di sempre, la pubblica RAI.
Ma lo scenario è un po’ più articolato. I due “campioni nazionali”, Telecom e Alitalia, stanno per essere ceduti “allo straniero”, gli spagnoli di Telefonica e i francesi di Air France (ma gli addetti ai lavori propendono per un’entrata in scena all’ultimo momento dei russi amici di Putin della Aeroflot). Nell’uno e nell’altro caso i “capitani coraggiosi” tanto cari a Berlusconi intascheranno i soldi e le prebende future dopo anni di travagli finanziari. A ben vedere anche qui regna il conflitto di interessi: alleati di sempre del Mago siedono nei rispettivi CDA e dentro al “cervello” finanziario dell’operazione, Mediobanca, Ennio Doris e Tarak Ben Ammar).
Ma per Berlusconi i due casi sono l’ennesima riprova delle sue sconfitte in campo economico, imprenditoriale e internazionale: tranne le leggi ad personam, non è mai riuscito ad abbassare il livello di tassazione (a volte solo bloccando temporaneamente il prelievo nazionale, ma facendo aumentare stratosfericamente quelle regionali e comunali, oltre alle accise e all’IVA); i posti di lavoro sono diminuiti di oltre un milione e mezzo, rispetto ai suoi fantasmagorici proclami di “un milione di posti di lavoro”; il popolo italiano è diventato in percentuale il più povero d’Europa, insieme ai geci e ai portoghesi; la deindustrializzazione del nostro sistema cammina a passi da gigante e siamo diventati gli ultimi per produttività in Europa; le libertà individuali e collettive si sono ristrette e siamo sotto osservazione dei principali organismi internazionali di controllo dei diritti.
Un paese allo sfascio e un popolo allo sbando, pecore senza pastore che hanno perso la via per l’ovile: questa la fotografia desolante dell’Italia dopo 20 anni di regime berlusconiano!
In quanto a Mediaset, ai timori della famiglia Berlusconi di perdere l’impero mediatico che ha contribuito maggiormente a fare le fortune politiche e finanziarie del “padre-padrone”. A metà novembre del 2012, con la crisi del governo Monti e le imminenti elezioni politiche il titolo viaggiava attorno ad 1,15 euro. Si preventivava anche un bilancio in rosso, come poi è accaduto, e ambienti finanziari ben introdotti parlavano dell’ingresso probabile nel capitale del Biscione di soci potenti, arabi e russi, ovvero gli amici di sempre.
Fatto sta che con l’altalena della campagna elettorale, la rincorsa spettacolare di Berlusconi a non perdere se non di un’incollatura le elezioni subito dietro al PD, dilaniato al proprio interno, e al Movimento 5 Stelle di un Grillo sbraitante ma inconcludente, il titolo Mediaset ha raggiunto un record unico tra i titoli quotati: più 120% in soli 6 mesi, fino ad arrivare alla quotazione di 3,50 euro per azione. Ma allora perché questa decisione alla “muoia Sansone con tutti i filistei”?
Semplice: Berlusconi sa che dovrà lasciare il Parlamento, che arriveranno altre imputazioni e richieste di arresto, appena non godrà più dell’immunità, e che la sua famiglia non è in grado di gestire l’impero come lui ha fatto sinora. Meglio quindi, come un consumato giocatore di poker, tentare di “rovesciare il tavolo”, giocarsi il tutto per tutto usufruendo dell’ingannevole sistema elettorale Porcellum e magari riuscire a vincere anche se di poco le nuove elezioni anticipate sull’onda degli slogan a lui più cari: la sinistra vuole aumentare le tasse, io invece ve le voglio abbassare e alcune anche toglierle; la sinistra è giustizialista, io invece voglio mettere sotto controllo i giudici; l’euro è una gabbia che ci fa solo perdere competitività e l’Europa ci chiede solo sacrifici, nuove tasse, recessione, disoccupazione, miseria. Insomma l’eurozona significa “tristezza”, mentre il Caimano vuole “la felicità nella casa degli italiani”!
Preoccupano le sue uscite euroscettiche nelle cancellerie e negli ambienti finanziari europei, anche in vista di probabili elezioni anticipate, tanto da far gridare in prima pagina il liberal-progressista Le Monde che “Berlusconi si gioca l’Europa alla roulette”. Mette in guardia l’autorevole quotidiano parigino a “non fidarsi del Cavaliere, quando pretende di essere un politico responsabile”. Per poi affondare il coltello sui pericoli imminenti: “una volta di più, quest’uomo, che gli italiani continuano da anni a votare in maniera plebiscitaria, non esita a giocarsi alla roulette l’avvenire del suo paese, dell’Europa e del mondo. Considerandosi al disopra della legge e dei giudici, pensa che il giudizio di un tribunale italiano che l’ha condannato per frode fiscale meriti una crisi politica e una minaccia all’Europa. Più egocentrico di così, si muore! Questo tipo di atteggiamento, inoltre, dimostra a che punto Silvio Berlusconi faccia passare i suoi problemi personali avanti al bene del suo paese. Era questa settimana a New York per convincere, secondo il Financial Times, che l’Italia era “giovane, vigorosa e credibile”. Sbalordisce, invece, per questo suo cinismo. Tre giorni dopo aver vantato le virtù del suo paese, provoca una crisi politica che rimetterà l’Italia al centro delle preoccupazioni europee. E così, dopo la crisi dell’Eurozona, l’Italia diviene il più grosso rischio di esplosione dell’Europa”.
Ma il Caimano deve far presto: deve riuscire a sistemare i “gioielli di famiglia” senza farli pagare troppo ai nuovi soci “extraeuropei”, salvaguardando le posizioni manageriali e finanziarie dei figli (i russi della Gazprom, gli amici oligarchi di Putin e gli arabi degli Emirati e dell’Arabia saudita, in primis); e deve anche smarcarsi dagli ambienti vaticani a lui sempre più sfavorevoli, dopo l’avvento del nuovo Papa Francesco.
E qui sta l’altra faccia della medaglia di questo lungo autunno del “patriarca”.
Il nuovo pontefice, gesuita e poco incline alle vecchie pratiche compromissorie tra politica, affari e fede, nelle sue omelie durante le messe quotidiane a Santa Marta, nei viaggi apostolici a Pantelleria, in Brasile e in Sardegna ha detto chiaro e tondo che la Chiesa, i cristiani debbono rifarsi al messaggio originale di Cristo nei Vangeli, ritornare ai concetti di solidarietà, apertura ai diversi e agli oppressi, rifiutare l’idolatria del denaro, ribellarsi alle sopraffazioni, combattere “la cultura dello scarto” che penalizza i giovani e gli anziani. Papa Francesco in pochi mesi ha rivoluzionato il sistema limaccioso di potere che regnava in Vaticano e si appresta a modificare drasticamente anche la conferenza episcopale, che sovrintende ai rapporti politico-economici tra l’episcopato e il mondo politico-governativo italiano. Silurati i vertici dello IOR, la banca vaticana dal passato anche recente molto discutibile e sotto l’occhio della magistratura, fatto fuori Bertone, ora tocca a Bagnasco. Uno ad uno cadono i punti di riferimento di Berlusconi dentro alle ovattate stanze vaticane né il suo fido consigliere, nonchè Gentiluomo di Santa romana Chiesa, Gianni Letta, è più in grado di garantirgli quelle entrature e quei lasciapassare, che in passato gli avevano consentito di destreggiarsi nel variegato mondo cattolico, guadagnando voti e consensi nonostante i suoi tanti vizi e le scarse virtù. Tra l’altro, è volontà del nuovo Papa anche di abolire la “casta” dei Gentiluomini, dove si sono annidati personaggi implicati in vicende giudiziarie ai confini tra la “pochade” e la corruzione.
Il Cavaliere, così, giocando di anticipo spera in cuor suo di drenare ancora dei voti in ambito cattolico, grazie ai legami con ambienti conservatori e reazionari della chiesa e dell’episcopato, oltre che a far leva ancora sulla rendita di posizione elettorale di Comunione e Liberazione (in cerca però di una rivalutazione etica negli ambienti più vicini al pontefice) e del suo “braccio secolare”, la Compagnia delle Opere. Ma la galassia cattolica sta sprofondando in una “diaspora” senza eguali nella storia politica del dopoguerra: benefica e incontrollabile. Il voto cattolico ancor più stavolta attraverserà gli schieramenti da destra a sinistra, senza premiare nessuno.
Il Caimano così rischia di essere stritolato dalla pressa della storia, tra l’incudine degli affari e il martello della fede. E alla fine del Calvario non s’intravvedono né un Buon Samaritano né le Pie donne in grado di farlo risorgere…