Ripubblichiamo l’articolo scritto nel 2013 da Vincenzo Vita per i 90 anni di Sergio Zavoli
Auguri, grande Sergio. Sei il maestro di tutti noi e a novant’anni sei più giovane di tanti “giovani di professione”. Fare un’intervista a Zavoli (ci limiteremo per prudenza a qualche domanda) è come voler parlare di fisica con Einstein o di filosofia con Hegel o di arte con Michelangelo. Già, perché le interviste di Zavoli sono quasi sempre dei capolavori. La “Notte della Repubblica” o il notissimo “Processo alla tappa” (in cui rendeva più colti i ciclisti) sono riferimenti di ogni scuola di giornalismo e della stessa cultura del dialogo informativo, fondato quest’ultimo su di un sapere accumulato che fa da base e sulla curiosità intellettuale come trama nervosa. E la radio, una voce come poche altre, esempi di bravura come la conversazione con la suora di clausura, che ancora oggi fa emozione riascoltare. E quante cose in uno scrigno tanto vasto e poliedrico quanto straordinario. Zavoli ha una incredibile capacità di indurre alla parola anche chi ne sarebbe restio: Paolo VI, Schweitzer, Von Braun, l’amatissimo Fellini e persino Bordiga ormai anzianissimo e malato, ma attratto dalla comune passione per il ciclismo (pensate, lo sferzante critico di Gramsci…). O quel momento raro che fu, ben prima della riforma psichiatrica, l’inchiesta all’ospedale di Gorizia sui e con i pazienti considerati “malati” di mente , assistiti dal giovane Franco Basaglia. O il rotocalco che sta all’origine dei tanti “format”, divenuti spesso cinica rappresentazione della politica-spettacolo: Tv 7. I documentari come momento espressivo altissimo. Zavoli è stato svariate cose e la sua biografia è fittissima: giornalista sempre, presidente della Rai, direttore tante volte, anche nella carta stampata, senatore e presidente della Commissione parlamentare di vigilanza. Scrittore. Poeta.
Ma da dove viene questa costante curiosità che ha animato un arco lunghissimo di anni?
“La curiosità mi è nata da bambino, quando disegnai su un foglio di carta una pagina di giornale, non completa però. Mancava qualcosa, che andava cercato. La curiosità per gli altri, la voglia di conoscere e di far conoscere. Una curiosità vissuta “insieme”, non solitaria. All’inizio dell’attività i miei riferimenti erano gli amici di Rimini, che pensavo sempre come i primi destinatari del mio lavoro e il cui giudizio coglievo quando tornavo da Roma. Se non dicevano niente, il pezzo andava bene”. Come si potrebbe altrimenti capire la forza espressiva di Zavoli, senza coglierne le tinte profonde? C’è vera arte