Molto alto, la faccia seria e quegli occhiali scuri che proteggevano la fragilità dei suoi occhi gli conferivano un’espressione forte, incuteva timore. Aveva una voce possente: sembrava che le sue corde vocali fossero di carta vetrata. E quando rideva, raramente, la sua non era una risata ma un’esplosione. L’ho conosciuto nel 1978, non ero ancora giornalista, stavo finendo il mio percorso nella segreteria unitaria di Cgil-Cisl-Uil, con l’amico Guglielmo Epifani segretario nazionale dei Poligrafici. Anch’io non ero craxiano ma non ho mai inteso che essere craxiani fosse un insulto. E neanche lui. Eravamo disperati quel maggio del 1980 quando Walter Tobagi fu assassinato.
Ci salvarono il suo coraggio e la sua lucidità politica. Raccolse il testimone lasciato da Walter e per dodici anni governò la Lombarda. E in quegli anni Ottanta dovette fare i conti con la corrente sindacale di sinistra troppo omologata al Pci, con il terrorismo, con Il Corriere della Sera sfregiato dalla P2, e con la rivoluzione tecnologica nelle redazioni. Si passò “dal caldo al freddo” con l’avvento dei computer. Bisogna difendere i capelli grigi, diceva, aiutare i quaranta-cinquantenni e far capire ai giovani che il computer non è un moloch da venerare, semplicemente un mezzo per lavorare meglio.
Nel 1990 divenne segretario della Fnsi, una Federazione che viveva troppo di partiti e poco di sindacato, a tal punto che si rasentò la scissione. Mi raccontò che si chiuse nella sua stanza con Beppe Giulietti, due caratteri diversi con idee divergenti, dialogarono a lungo e tutto si risolse. Perché, disse, parlammo di sindacato, di valori, rispettosi l’uno delle idee dell’altro. Insieme conclusero contratti nazionali storici. Lasciò tutte le cariche sindacali nel 1996 con il Congresso di Villasimius e noi di Stampa Democratrica ci sentimmo orfani. In più lui pensava che la stagione della nostra corrente sindacale fosse giunta alla fine, una corrente per vecchi, disse sbagliando e, cosa poco nota, era talmente convinto del nostro declino che fu lui a sollecitare la nascita di Quarto Potere. Parlo di Giorgio, non di quello che accadde dal 1996 ad oggi. Un tempo lungo che ha visto Stampa Democratica ancora all’opposizione e poi in maggioranza perché hanno prevalso quei valori che Giorgio ha sempre difeso. E Giorgio si accorse che Stampa era ben viva e da dietro le quinte in quegli anni mi incoraggiò e come stimolo ricordò a me e a noi di Stampa l’intervento di Walter Tobagi nell’ultimo Consiglio Nazionale della Fnsi al quale partecipò.
Walter disse pubblicamente che l’opposizione che noi avevamo creato nel sindacato doveva essere ripensata, riconsiderata, se non rimossa. E dopo l’uccisone di Walter, Giorgio agì, insieme agli amici di allora, nella maniera che tutti sanno, costruendo nel sindacato un solido rapporto unitario. Così è stato con lui e dopo di lui. Rideva quando gli ricordavo che qualcuno definiva Stampa Democratica “una strana creatura riformista”, e sorrideva ancora con più gusto quando gli facevo notare che Stampa non era una corrente per vecchi, che si era sbagliato. In questo senso rendo noto un episodio al quale tenne molto, il suo incontro, proprio lo scorso anno a fine giugno, con “i giovani” di Stampa Democratica, con tutti i colleghi impegnati nei vari Istituti di categoria. A quella cena non furono ammessi “i senatori”. “E’ stato bellissimo, sono contento, hai creato un apparato, complimenti”, mi disse. “Giorgio ho avuto fortuna”, risposi, e lui: “La fortuna non viene mai da sola”. Ci siamo sentiti a fine luglio per dirci buone vacanze con l’intesa di vederci ai primi di settembre. Non ha potuto venire all’appuntamento.