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Una questione di costituzionalità inammissibile

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La condanna del sen. Berlusconi ne importa, ai sensi degli artt. 1 e 3 del d.lgs. 235 del 2012 (c.d. “legge Severino”), la decadenza dalla carica, a seguito della delibera parlamentare ex art. 66 Cost. La Giunta delle elezioni (prima) e l’aula (poi) dovranno quindi accertare che vi sia stata la condanna – e dire il contrario non pare proprio possibile – e quindi deliberare la decadenza.

Questo è parso a qualcuno inaccettabile perché il condannato ha preso – si dice – qualche milione di voti. In realtà, questo è lo Stato democratico di diritto: quello in cui anche chi ha un grande consenso, anche chi è “al potere”, è soggetto alla legge esattamente come gli altri. Il principio democratico prevede che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. E per le forme e i limiti della Costituzione può accadere che anche chi ha un grande consenso popolare sia sanzionato in base alla legge. Come è accaduto nel caso, a seguito di tre gradi di giudizio, tutti conformi.

Ignorando questi principi, qualcuno continua però a propugnare la inaccettabilità della condanna e ha quindi invocato la grazia e perfino l’amnistia, per la quale, eventualmente, non si dovrebbe partire proprio dalle ipotesi di evasione fiscale (peraltro anche di notevole gravità). Vista la assai difficile – diciamo così – praticabilità di queste soluzioni (che peraltro non sembrerebbero granché utili visto che l’art. 15 del d.lgs. prevede che l’unica causa di estinzione anticipata dell’incandidabilità è la sentenza di riabilitazione) si ipotizza adesso che la Giunta delle elezioni, o addirittura l’aula del Senato, possano sollevare questione di legittimità costituzionale della “legge Severino”. Ciò non pare ammissibile.

Infatti, solo un giudice può sollevare questione di legittimità costituzionale. La Giunta delle elezioni non è un giudice, difettando evidentemente di quei requisiti di terzietà ed imparzialità che la stessa Corte costituzionale – e la Corte europea dei diritti dell’uomo – richiedono per tale qualifica.

A ciò si aggiunga che la Giunta non delibera in via definitiva ma, a seguito del suo voto, fa una proposta all’aula. Un motivo in più per escludere che essa possa sollevare questione di legittimità costituzionale. La Corte ha già detto, infatti, che la questione non può essere posta dal giudice istruttore perché questi fa solo una proposta al collegio. Questo sposterebbe la competenza sull’aula, ma se la Giunta difetta dei requisiti di terzietà ed imparzialità ciò vale a maggior ragione per l’aula, massimo organo della rappresentanza politica.

Ancora – e su un piano parzialmente diverso – deve rilevarsi che questa legge è stata approvata solo alcuni mesi fa dal Parlamento (peraltro con una maggioranza essenzialmente analoga all’attuale), senza che mai sia stato insinuato il minimo dubbio di costituzionalità. Come è possibile che in pochi mesi siano sorti tutti questi dubbi? In ogni caso, se le Camere ritenessero che una legge è incostituzionale la dovrebbero cambiare (e anche molto in fretta!) e non sollevare questione di legittimità costituzionale. Si consideri, in proposito, che quando è stato chiesto alla Corte costituzionale di sollevare di fronte a se stessa questione di legittimità costituzionale delle Norme integrative (dalla stessa approvate) essa ha negato questa possibilità. Ha infatti detto che se avesse ritenuto le stesse incostituzionali, in quanto (in tale sede) legislatore, le avrebbe semplicemente cambiate. Del resto, le Camere non possono interrogare la Corte costituzionale sulla legittimità costituzionale delle leggi perché questa non è un organo di consulenza tecnico-giuridica del Parlamento e, nel nostro ordinamento, non è prevista, tra le modalità di accesso alla giustizia costituzionale, il ricorso delle minoranze parlamentari. Figuriamoci della maggioranza!


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