Ieri ho trascorso 14 ore consecutive, dalle 10 a mezzanotte, in un’aula del Senato per discutere, in commissione, del decreto del “Fare”. Fuori i lobbisti e anche dentro. I rappresentanti del governo frastornati dalla stessa natura del provvedimento, che stanzia pochi soldi ma li spalma in modo demagogico su ogni anfratto della società italiana, sommando norme a norme, senza che si colga un disegno unitario, con il rischio di rendere la spesa pubblica ancora più ingovernabile, e il rapporto tra Stato ed Economia, più opaco.
Stavo là, tra senatrici e senatori attoniti, e pensavo agli 11 anni trascorsi per la Rai all’estero. A uno dei miei amici americani o francesi sarebbe bastato un solo giorno, quello di ieri, per concludere che l’Italia ha bisogno di una rivoluzione politica. Basta provvedimenti omnibus, basta leggi che normano e poi derogano. Il parlamento discuta e approvi orientamenti di massima, poi una amministrazione, risanata, si prenda responsabilità che si deve prendere. Già, una rivoluzione, politica, etica, amministrativa. Il contrario dell’accordo solo per sopravvivere, dello smussare gli spigoli, del buttare la cenere sotto il tappeto, insomma di quello che chiamiamo “larghe intese”.
A un certo punto mentre ce ne stavamo là chiusi in conclave, apprendiamo dai tablet, che il governo ha avuto la faccia tosta di dirsi “irritato” perché la “casta”, cioè noi, avremmo tolto il tetto alle retribuzioni dei manager delle società pubbliche. Era vero l’esatto contrario. Ponendo la fiducia alla Camera, il Governo Letta-Alfano aveva fatto passare un articolo, il 12 bis, che derogava al tetto per le società non quotate, Ferrovie dello Stato e Poste, per capirci. Ora veniva a chiederci di correggere, noi, quell’errore, ma di farlo in silenzio, senza mettere in luce la cavolata commessa dell’esecutivo. Che ci devo dire, un moto di rivolta, un atto di dignità e i senatori, da scelta civica al Pd ai 5 Stelle hanno abrogato quel 12 bis, fatto cadere la deroga (imposta, come tante altre cose nel decreto, da pressioni lobbistiche) e consegnato al Governo le sue responsabilità. Un tetto alle retribuzioni dei manager pubblici il Tesoro lo può imporre senza il decreto del cosiddetto “Fare”.
Passano due ore e un ministro (o un sottosegretario) burlone si fa bello con le agenzie di stampa accusando il Senato di aver favorito i boiardi. Io avrei lasciato le cose così e oggi, in aula, avrei fatto venir fuori tutta la verità. Il governo fa i buchi e poi vuole che qualcuno glieli ripari. Ma i gruppi, compresi quelli di opposizione, M5S, SEL, Lega, si sono mostrati più “responsabili” e, lavorando un paio d’ore in più, hanno reintrodotto il taglio del 25 per cento, questa volta senza deroghe. Non senza conseguenze, però. Ho sentito Ugo Sposetti, non proprio un estremista, dire cose molto dure sul Governo che c’è. E Anna Fonocchiaro ha scritto, proposto e fatto approvare un ordine del giorno che, tradotto, significa più o meno questo: la prossima volta che presentate un pasticcio come il decreto del “Fare” lo rimandiamo indietro. Basta scaricare sul Parlamento l’incapacità dei governi di governare.
Scusate questo sproloquio così inconsueto nel caffè. Ma volevo che sapeste quali vette possa raggiungere la retorica della governabilità nel bel paese. A prescindere dello scodinzolare vittimista o dell’impudenza ricattatoria di mister B. “Il PDL al Colle: salvare Berlusconi”. È il titolo di Repubblica. “B. ricatta: o grazia o mi faccio arrestare”, dice Il Fatto. Il Caimano come Sallusti, dunque, farà la “mossa” di voler andare in carcere pur di non consegnarsi un anno intero alle amorevoli cure della fidanzata Pascale e della corte dei miracoli. “Operazione salva Silvio”, scrive Libero. Schifani e Brunetta a colloquio per un’ora con Napolitano, poi di corsa a riferire al boss. Di tutto questo parlottare, che cosa resti, non saprei proprio. Un voto segreto e pilotato per tenersi B Senatore? Mi sembrerebbe una follia.
Altri giornali si preoccupano di Letta. “Non mi farò logorare”, titolo de l’Unità. A dire il vero era stato Epifani a dirgli: “non ti fare logorare”. Letta avrebbe risposto “ma si vede la ripresa” e la sintesi, su La Stampa, recita “Letta: non rovinate la ripresa”. Insomma, il Pd freni Renzi, spieghi a Bersani che ha perso, espunga i radicali liberi tipo Civati, Barca, forse anche Cuperlo e voti i decreti pasticciati del governo perché comunque aiutano la ripresa.
E il PDL della “guerra civile”? Le armi non ci sono, resta il fango. “225 milioni. De Benedetti diversamente evasore”, Il Giornale. Dove si racconta che i giudici proteggono l’ingegnere e aborrono il cavaliere. Ma si tace, naturalmente, sulla frode, sui conti all’estero per commettere altri illeciti, cioè su crimini ancora più gravi, della grave ma semplice evasione. E fango sul magistrato (si chiama Esposito) che ha giudicato il Cavaliere, Il Giornale sostiene che, con la sentenza Berlusconi, si sarebbe comprato l’indulgenza del CSM verso il figlio, che aveva fatto pasticci con Nicole Minetti.
Ma il meglio dell’informazione oggi è sul Corriere. Gancio sinistro gancio destro,ko! Prima pagina “Ora il governo vede la ripresa”. Dunque, lasciatelo lavorare. Intervista a Quagliariello con scoop: “Domenica pronta un’operazione per decretare la fine dell’esecutivo”. In realtà il buon Gaetano, nell’intervista, se la prende con i falchi (ammaestrati) del PDL e spiega: “Il ricorso della Cassazione alla Consulta sulla legge elettorale blocca di fatto la possibilità di elezioni a breve. Se il centrodestra facesse cader il governo si cadrebbe nel caos istituzionale o verrebbe fuori un altro governo con un’altra maggioranza che, tra l’altro, farebbe una legge elettorale per spingere la tentazione di far fuori Berlusconi alle conseguenze più estreme”. Ma il titolo porta acqua al mulino di Letta e Napolitano! Poi il KO. “Stipendi dei manager ridotti. Il governo si è impuntato e nella notte le commissioni hanno approvato una soluzione di compromesso, l’emendamento Franceschini”. L’unica cosa vera è che il Corriere ha preso per buona una velina del ministro. Pur di cantare le magnifiche sorti e progressive del governo che c’è.