Un personaggio tra i più ambigui del terrorismo “rosso”, Giovanni Senzani, tra i capi delle seconde “Brigate Rosse”, quelle seguite al primo gruppo trentino-emiliano di Curcio e Franceschini , dopo 32 anni ha fatto l’attore delle vicende che ha vissuto nella realtà e, a più di settant’anni, ha impersonato uno dei personaggi del dramma che si svolse il 3 agosto 1981 e che condusse all’assassinio di Roberto Peci, fratello del brigatista Patrizio Peci che, tra i primi, confessando episodi appena accaduti della campagna terroristica in corso aveva spiegato ai giudici (nell’occasione i dottori Griffey e Caselli ) l’organizzazione dei terroristi e i loro obbiettivi di fondo. Il film presentato a Locarno si intitola Sangue ed è firmato da Pippo Del Buono.
Nulla di male che si parli di quegli anni cupi su cui le classi dirigenti del nostro paese, dopo trent’anni di storia, non hanno mai cercato di promuovere un atto collettivo di coscienza sulle ragioni di quei terrorismi che hanno insanguinato a lungo l’Italia. Quella triste stagione ha provocato, in un primo quinquennio tra gli anni sessanta e la prima metà degli anni settanta con la collaborazione sicura di apparati ancora filofascisti dello Stato e di estremisti della destra, vittime sui treni e in una lunga serie di stragi da piazza Fontana a Milano alla stazione di Bologna centinaia di vittime e, nella seconda metà degli anni settanta fino alla prima metà degli ottanta, con qualche ulteriore fatto di sangue (penso alla morte di Roberto Ruffilli a Bologna e a quella di Biagi negli anni immediatamente successivi), altri attentati e stragi che hanno segnato quei tempi e lasciato nella nostra memoria tracce ancora forti. Ricordo quei tempi perché, insegnando Storia contemporanea in un’università del Nord Italia e scrivendo su un grande quotidiano, mi trovai anch’io di fronte a minacce telefoniche anonime e mi venne consigliato di lasciare per qualche tempo la città. Ma non seguì il consiglio e piuttosto cercai di spiegare con le mie lezioni quali potessero essere le ragioni storiche del dramma, le asimmetrie del sistema politico italiano attraversato dalla guerra fredda imperversante tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica comunista, l’insufficiente educazione civile che si insegnava sempre nelle scuole e nelle università italiane, la storia complessa del nostro Stato postunitario e così via. Mi trovai a partecipare persino a un libro collettivo di considerazioni sui terrorismi pubblicato da un noto editore che aveva tra i suoi collaboratori, insieme con altri storici e sociologi, persino il ministro Giulio Andreotti ed espressi quella volta un giudizio di aperta condanna dei terrorismi, di qualsiasi colore fossero. In questo senso la personalità di Senzani appariva già allora discutibile per l’uccisione a sangue freddo di Roberto Peci in nome di una ragione astratta e spietata contro chi tradisce che anche le associazioni mafiose hanno praticato e continuano a praticare e le parole che, a distanza di oltre trent’anni, dedica a quello scontro non sono neppure oggi accettabili. Parlando di Prospero Gallinari, l’ex brigatista morto qualche tempo fa, afferma: “Nel funerale di Gallinari, ho rivisto il funerale di Moro, quello dei compagni caduti e delle nostre vittime: quel giorno ho capito che la nostra piccola storia, era davvero finita.” E qui Senzani confonde di proposito la storia di Aldo Moro (vittima delle Brigate Rosse e di una storia che ha nello stesso tempo aspetti nazionali e mondiali propri di quel momento della guerra fredda) con le vicende molto diverse e nutrite di obbiettivi ancora oggi poco chiari dei brigatisti che formarono o capeggiarono quelle bande terroristiche nella seconda metà degli anni Settanta. Confondere l’uno e l’altro piano, metterli all’interno di un unico disordinato calderone non serve alla storia e tanto meno alla politica del nostro paese. Semmai crea problemi di interpretazione del passato che sarebbe il caso di evitare soprattutto per le nuove generazioni che non hanno vissuto quei tempi e hanno maggiori difficoltà a coglierne il senso centrale. Che l’Italia del tempo fosse divisa a livello economico-sociale e politico-culturale è indubbio, che il nostro Stato fosse allora come è ancora oggi debole e per molti aspetti inefficiente è altrettanto chiaro ma che questo giustificasse una lotta armata con migliaia di morti e feriti tra fazioni opposte non si può sicuramente affermare dal punto di vista della storia italiana. E’ un modo per giunta equivoco di mettere sullo stesso piano le vittime e i carnefici. In questo senso le dichiarazioni di Senzani non si possono proprio accettare.