Se fosse italiano, si griderebbe allo scandalo. Ma Mohammed Fickri non lo è, anche se da tanto tempo vive e lavora da noi, in piena legalità. Questo giovane marocchino, colpevole solo di aver fatto una telefonata sbagliata, è stato preso sulla nave come un criminale, è finito in carcere, è stato picchiato e insultato dagli investigatori solo perchè c’è stato un equivoco nella madrelingua e l’interprete ha sbagliato a tradurre con “uccidere” una sua frase. L’angoscia è durata quasi tre anni, esattamente 980 giorni, finchè una gip testarda e capace non ha finalmente archiviato la sua posizione. Fickri lavorava come piastrellista in un cantiere vicino a quello dove hanno ritrovato il corpo della povera Yara. Prima è stato accusato di omicidio e occultamento di cadavere, poi “soltanto” di favoreggiamento: a favore di chi, visto che non c’è tuttora traccia del colpevole? Nella tragica vicenda della ragazzina bergamasca (ritrovata morta del 2010) il marocchino è sempre stato l’unico indagato. Nonostante ricerche affannate e perizie di tutti i tipi non sono mai riusciti a trovare alcuna pista sul colpevole di un delitto orrendo. E la Procura non voleva disfarsi dell’unico sospettato (oltretutto immigrato, quindi “perfetto”) per non dimostrare il fallimento completo delle indagini. C’è stato un lunghissimo braccio di ferro con il tribunale e solo adesso, tre anni dopo, Fickri è stato prosciolto. Ha festeggiato la fine dell’incubo andando a trovare la famiglia in Marocco. Non si è lasciato andare a dichiarazioni di fuoco. Si è limitato a dire: “La giustizia italiana è troppo lenta. Ma voglio tornare”. Una vera lezione: soprattutto di civiltà. Certo è facile, e comodo, pensare che i mostri siano sempre gli altri e non magari quelli della porta accanto. P