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Protezione del giornalismo e ‘’pubblico interesse’’

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Non può essere il solo titolo professionale ad assicurare la protezione per l’ attività giornalistica ma il valore di ”pubblico interesse” che le informazioni diffuse (o che si contribuisce a diffondere) racchiudono.

Nel dibattito sul tema della protezione del giornalismo – che Lsdi sta seguendo con attenzione (vedi quiquiqui) – il Guardian ospita ora un ampio commento di George Brock, ex giornalista del Times e docente di giornalismo alla City University di Londra, in cui il concetto (forse ancora troppo vago) di ‘’atto di giornalismo’’ cede il posto al parametro della rilevanza e del grado di pubblico interesse dell’ informazione.

L’ intervento di Brock ha una particolare importanza perché il Guardian è uno dei protagonisti principali del caso Snowden –  l’ ex funzionario della CIA che ha svelato l’esistenza di una vastissima rete di spionaggio sulle comunicazioni Internet -: vicenda che ha fatto salire di tono la discussione sulla protezione del giornalismo. Fa capo infatti alla testata londinese il giornalista che ha lavorato sui documenti di Snowden,  Glenn Greenwald,  compagno di David Miranda, il presunto  corriere di documenti criptati  fra Greenwald in Brasile e una sua collaboratrice, Laura Poitras, in Germania.

Dopo il suo fermo all’ aeroporto di Heathrow, e le polemiche che ne sono seguite, vari osservatori hanno sostenuto che Miranda dovesse essere difeso come se fosse un giornalista. Ma più che un giornalista, Miranda era un corriere e lui stesso si è difeso sostenendo che non aveva idea di che cosa contenessero le ‘’chiavette’’ di memoria che stava trasportando. Ma il suo biglietto aereo era stato pagato dal Guardian e il suo viaggio – osserva ancora Brock – era presumibilmente molto importante per eventuali nuove rivelazioni.

Perché può essere importante se Miranda viene considerato come un giornalista o no? Perché – risponde Brock – potrebbe rientrare o meno nelle previsioni di protezione delle legislazioni (spesso piene di buone intenzioni ma confuse). Il giornalismo suscita a volte delle controversie perché si trova nel punto di confluenza di due diritti che collidono: il diritto dello Stato di tenere segrete delle cose per assicurare la protezione dei cittadini; e il diritto dei mezzi di informazione di divulgare vicende che possono alimentare il dibattito pubblico. Uno dei modi per gestire questo conflitto è fornire ai giornalisti uno status legale speciale.

Ai “giornalisti” viene riservato un trattamento speciale – continua Brock – perché essi tirano fuori dei fatti che la società ha bisogno di conoscere . Alcuni stati americani hanno delle “shield laws”  (delle leggi ‘’scudo) che esentano i giornalisti dall’ obblighi di rivelare le fonti . Quindi, almeno nelle giurisdizioni influenzate dalla legge americana e dal Primo emendamento (che vieta l’ interferenza del governo nell’ attività della  “stampa ” ), essere classificato come un giornalista può rendere una persone più sicura. Julian Assange , il fondatore di WikiLeaks , era sempre stato sprezzante nei confronti dei giornalisti tradizionali fino a quando si trovò di fronte il rischio di un processo penale negli Stati Uniti. E a quel punto cominciò a parlare di sé come un giornalista e ad attenuare il suo disprezzo.

Non mi hanno mai convinto le protezioni formali per persone che reclamano un determinato status (o che se lo sono visto assegnare dalla legge o da un tribunale) – rileva il docente inglese -. Il giornalismo è un affare disordinato, poroso, e mal si adatta ad essere recintato all’ interno di una casta professionale. Ruoli importanti in grandi rivelazioni sono state giocati da informatori, fonti coraggiose, corrieri  e da persone che erano al posto giusto al momento giusto. Se questo era vero per il passato, sarà sicuramente vero anche adesso .

Ma le persone che vengono definite come ‘’giornalisti’’ hanno bisogno di uno status speciale nell’era digitale ? Disegnare una linea intorno a ciò che è giornalismo o a chi è un giornalista è più difficile che mai , ma la polizia britannica sembra aver annusato una cosa che non tutti i giornalisti hanno afferrato. Soffiate, fughe di documenti e di dati saranno una caratteristica di una fase in cui i governi e altri soggetti raccolgono e memorizzano grandi quantità di dati. Per passare dalla segretezza al dominio pubblico, possono essere richieste  esperienza e astuzia. E in questo potranno essere sicuramente coinvolte persone che non lavorano come giornalisti o redattori – come sembra sia accaduto a Miranda.

Le leggi per la protezione dell’ attività di divulgazione devono imperniarsi non sullo status di un individuo, ma sul valore della divulgazione. Questa è l’idea che sta alla base del principio di “interesse pubblico” . C’ è in questa notizia  – dovrebbe chiedersi la legge  – un valore pubblico che può prevalere sulle altre considerazioni ? Lo status della persona nei guai con la legge è un test sbagliato .

I tentativi del governo britannico di incoraggiare o di emanare nuove norme sulla scia dell’ inchiesta Leveson (…) sono finiti nelle stesse sabbie mobili, in quanto richiedono che sia la legge a decidere chi o che cosa sia quello che viene definito una “pubblicazione rilevante” (relevant publisher).

In Uk gli avvocati tendono a non gradire il concetto di “pubblico interesse” , perché – conclude Brock – è troppo scivoloso e vago per essere utilizzato in tribunale. Ma è una idea molto più valida rispetto alla pretesa di delineare, nel mondo di oggi così digitalmente confuso, chi sia un giornalista e chi no.

da lsdi.it


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