Ci scusino i lettori sdraiati sotto gli ombrelloni, se disturbiamo i loro tentativi di scacciare i cattivi pensieri. Ma, come si leggeva su un cartello in Piazza Medaglie d’oro, venerdì scorso a Bologna, “la memoria non va in vacanza”. Pertanto ci corre l’obbligo di ricordarvi che domenica saranno trascorsi trentanove anni dal 4 agosto 1974, quando un ordigno lasciato su un vagone dell’espresso Roma-Monaco di Baviera “Italicus” esplose nei pressi della galleria di San Benedetto Val di Sambro. La stessa galleria in cui, dieci anni dopo, esploderà il Rapido 904. Un documento confezionato da depistatori dei servizi segreti, ritrovato nei primi anni ’80 durante le difficili indagini sulla strage del 2 agosto, si chiamava “Terrore sui treni”. Tra i primi che in Italia hanno lanciato la moda di mettere le bombe sui treni d’estate ricordiamo il defunto Giovanni Ventura e l’attuale collaboratore di Libero Franco Freda, editore e ideologo di Ordine Nuovo (entrambi assolti in tribunale per Piazza Fontana, benché successivamente riconosciuti responsabili, con sentenza definitiva), già condannati per le bombe dell’agosto ’69 che ferirono 12 persone in varie città d’Italia. Una carneficina senza fine, finalizzata a diffondere tra i cittadini una forte richiesta d’ordine. Un progetto eversivo i cui autori e complici sono in parte a piede libero, in parte all’estero, in parte deceduti. Come si può, allora, parlare di “memoria condivisa”? Cosa c’è da condividere – e con chi – in un paese dove Licio Gelli può andare in tv a parlare di storia?
Diversamente dalle altre due stragi, la vicenda giudiziaria dell’Italicus è più simile a quella di Piazza della Loggia: dopo quasi 40 anni, nessun colpevole. Vergogna infinita che, ogni anno, viene ricordata il 2 agosto a Bologna e a San Benedetto. Ciò nonostante la matrice nera di queste stragi è, da tempo, storicamente accertata. A prescindere dalle assoluzioni dei singoli, nel 1984 la Commissione Anselmi certificò che membri dell’Ordine Nero [sigla che, peraltro, rivendicò pubblicamente la strage, nda] avrebbero eseguito la strage in quanto ispirati, armati e finanziati dalla massoneria, che dell’eversione e del terrorismo di destra si sarebbe avvalsa, nell’ambito della cosiddetta “strategia della tensione” del paese, creando anche i presupposti per un eventuale colpo di Stato.
Ordine Nero, Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, Terza Posizione, banda della Magliana, ecc.: questi gli ambienti in cui mandanti e beneficiari delle stragi trovavano consenso, complicità e manovalanza. Ma torniamo all’Italicus, strage più di altre dimenticata. Perché? Nonostante in questi anni si sia capito che, negli ambienti della destra eversiva, quella dell’Italicus fu una sorta di prova generale della strage alla stazione (pare che, secondo i piani degli attentatori, proprio lì dovesse esplodere). Spiegare e ricordare ai cittadini che c’è un filo nero che lega il 90% delle stragi italiane. Unico tra gli autori di una strage (Peteano di Sagrado, ’72) a essersi costituito è Vincenzo Vinciguerra, scomodo testimone del terrorismo di estrema destra che – pur non essendo pentito delle proprie azioni – ha in più occasioni voluto distinguersi dai camerati che preferivano andare a braccetto con uomini dei servizi segreti. Ovvero con quello Stato che dicevano di voler abbattere.
Anche dal punto di vista dei depistaggi e delle omissioni il caso Italicus ha anticipato quelli di Bologna, impedendo alla magistratura di condannare i responsabili della morte di 12 persone e del ferimento di una cinquantina. Rileggendo i nomi delle vittime, non vi viene voglia di chiedere loro scusa?
WILHELMUS J. HANEMA RAFFAELLA GAROSI SILVER SIROTTI TSUGUFUMI FUKUDA HERBERT KONTRINER MARIA SANTINA CARRARO NUNZIO RUSSO MARCO RUSSO NICOLA BUFFI ELENA DONATINIELENA CELLI ANTIDIO MEDAGLIA
Silver, per esempio, era un ragazzo di 25 anni. Faceva il controllore sui treni per mantenersi all’università: studiava ingegneria a Bologna. Non fu ucciso dalla bomba ma dal suo coraggioso tentativo di salvare chi si trovava nel vagone incendiato dall’esplosione. Cosa hanno potuto farsene in questi anni i parenti – ma anche noi tutti, cittadini italiani – di una medaglia al valor civile, se gli assassini non hanno pagato alcun prezzo?
Ancor prima di Mambro (9 ergastoli) e Fioravanti (8), anche Pierluigi Concutelli e Mario Tuti – assassini spietati e mai pentiti, che hanno continuato ad uccidere persino dietro le sbarre – sono usciti dal carcere. Il primo, oggi anziano e con problemi di salute, ne uscì nel 2011; tra le varie condanne, un ergastolo per l’omicidio (1976) del giudice Vittorio Occorsio. Il geometra fascista Tuti, invece, ottenne la semilibertà nel 2004 e iniziò a lavorare a Civitavecchia in una comunità di recupero per tossicodipendenti di Civitavecchia, oltre a collaborare con l’Arci (sic!) di Livorno.
Da vent’anni gli italiani sono distratti dalle polemiche tra “giustizialisti” e “garantisti”, senza accorgersi della sostanza del problema: per i killer e i loro protettori, le poche volte che vengono condannati, non esiste certezza della pena. L’unica pena certissima è quella dei parenti delle vittime, il cui dolore non conosce sconti o attenuanti: “fine pena mai”. Forse i presunti saggi che straparlano di “pacificazione” dovrebbe vergognarsi.
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