Finisce nel sangue la Primavera araba, questo è il dato di fatto. Per il resto vedremo. L’Egitto è un Paese chiave del mondo, non solo del mondo arabo e mediorientale, la totale assenza di una presa di posizione della Casa Bianca che storicamente finanzia l’esercito egiziano, ha avuto un peso enorme, la latitanza europea anche. Il ruolo dei militari è stato amplificato da queste assenze; l’Egitto racconta una storia: l’inconciliabilità fra le diverse componenti di una società complessa; il rischio guerra civile è ora reale se non ci sarà un intervento politico internazionale. I Fratelli musulmani escono da questa vicenda a pezzi: al fallimento politico segue la persecuzione, difficile immaginare uno scenario peggiore.
Eppure bisognerà tenere conto nel prossimo futuro anche della protesta straordinaria che travolse il governo di Morsi e del sostegno popolare che hanno avuto i militari almeno nella prima fase di questa vicenda. Fare finta che la soluzione fosse a portata di mano qualche mese fa è ridicolo, le responsabilità dei fatti di queste ore sono molte e investono una ‘comunità internazionale’ ormai politicamente inesistente. D’altro canto la crisi egiziana ha radici antiche e in gioco c’è la possibilità di costruire una società pluralista che comprenda anche l’Islam. Il che non sarà facile se anche fra i partiti che si rifanno ai principi e alla fede del Profeta non si affermerà una visione aperta al confronto con la modernità. Infine i militari: fin quando come è avvenuto in America Latina la società civile non preverrà sull’esercito (una transizione verificatasi nell’ultimo ventennio), la questione rimarrà aperta e gli obitori si riempiranno di cadaveri.