Sergio Zavoli e Vincenzo Vita il 1 agosto 2013 all’Isola Tiberina a Roma hanno partecipato all’apertura dei 4 giorni sul Cinema Documentario voluta dal direttore artistico Giorgio Ginori. LaboreRAI è un progetto di Stefano Mencherini, Santo della Volpe, Amedeo Ricucci , Filippo Vendemmiati e Ornella Bellucci persone che svolgono il loro lavoro nella RAI. La serata è stata aperta da Stefano Mencherini che ha illustrato la proposta ed è proseguita condotta magistralmente e professionalità dalla giornalista dell’Unità Natalia Lombardo.
Sergio Zavoli nell’introduzione ha sostenuto l’importanza di questo progetto, illustrando il suo pensiero su come realizzare i documentari dalla ideazione alla realizzazione. Le sue parole hanno avuto una dimostrazione concreta nella proiezione di due suoi documentari “I Vivi e i morti di Goro” del 1963 e “i giardini di Abele” del 1968 seguita da una intelligente riflessione collettiva, in una bella magica serata, sull’isola Tiberina, nel fresco, vicino allo scorrere delle acque del Tevere.
Tra gli interventi vorrei ricordare quelli che, a mio giudizio, hanno fatto una lettura legata alla televisione degli anni sessanta mettendola a confronto con quella contemporanea. Marino Sinibaldi (direttore RDIOTRE) ha ricordato come quel tipo di documentario ha bisogno di una riflessione e di uno studio approfondito, ricordando come nel documentario “il giardino di Abele” in un ospedale psichiatrico di Gorizia, Basaglia anticipa la riforma, il cui centro è il ruolo degli infermieri. Renato Parascandolo, giornalista (ex direttore di RAI EDUCATIONAL) ci ricorda come i documentari di Zavoli vanno con le telecamere (negli anni ’60 le cineprese) fuori dallo studio televisivo, mostrandoci i fatti, le esperienze, in contrapposizione alla televisione contemporanea che porta nello studio TV il disagio rappresentato dal commento dei partecipanti alla discussione. Nino Russo regista cinematografico dell’ANAC ha messo in evidenza, come le immagini viste, non marcano la differenza odierna tra cinema e TV; ha ricordato come nel documentario “I vivi e i morti di Goro” l’intervista al medico è stata fatta nel negozio del barbiere, con il sapone sulla faccia, mentre si sta facendo la barba, un’immagine cinematografica degna del miglior cinema. Altri hanno ricordato come l’immagine finale della strada Romea annuncia l’inizio della trasformazione di quel territorio in chiave moderna anche di questo lontano paese di Goro. Infine le conclusioni di Vincenzo Vita che con parole semplici e intelligenti, ha voluto ricordare come la televisione incide nel costume della gente e rappresenta il modello culturale del paese, quindi è importante che il Sevizio pubblico crei una struttura che produca documentari, partendo dalla riflessione che ci offrono quelli realizzati da Sergio Zavoli. Una scelta importante della RAI per accentuare il suo ruolo di Servizio Pubblico. Delle riflessioni e parole importanti quelle di Vincenzo Vita che da molti decenni si batte per una cultura che produca crescita intellettuale nel paese. Sergio Zavoli ha ricordato con affetto, come Vincenzo Vita non è presente in parlamento a difendere questi temi nel periodo della rivoluzione tecnologica digitale considerando questo un danno per tutti noi.
Coloro che hanno avuto la cortesia di leggere queste note,vorrei aggiungere delle mie considerazioni sui documentari “I vivi e i morti di Goro” del 1963 e i “Giardini di Abele” del 1968 visti durante la piacevole sera del 1 agosto 2013 a sostegno della proposta LaboreRAI. Le immagini, nell’era digitale ci sommergono con gli oltre 2000 canali della TV satellitare, altri 1000 canali della TV DTT (digitale terrestre) altre immagini che riceviamo via internet (You tube e altri social net work) e tramite i telefonini. Gli spettatori, i fruitori anche interattivi, consumano immagini e difficilmente dalle immagini che ricevono trovano spunti di riflessione intellettuale. Alcuni professionisti ricordano che quando troviamo dei contenuti su internet, prima di poterli vedere siamo obbligati a subire della pubblicità che nulla ha che vedere con le immagini successive scelte. Questo modo contraddittorio di vedere contenuti si accentua nel momento in cui il frammento che vediamo è breve e scorporato dal contenuto del racconto che è frutto di un ragionamento alcune volte complesso.
I documentari di Sergio Zavoli, li abbiamo visti insieme, in silenzio concentrati sul racconto che si stava svolgendo sullo schermo, pronti a sollecitare delle nostre riflessioni, come quando andiamo al cinema. Inoltre sono documentari realizzati negli anni sessanta, quando esisteva solo la RAI TV e il prestigio del servizio pubblico era anche alimentato dalla linea editoriale di quegli anni : divertire educare, informare. Quando si andava tra le popolazioni di cui si voleva narrare i loro modello culturale “I vivi e i morti di Goro” si era accolti, sapendo che con rispetto si raccontava il loro modo di vivere, riflettendo su quello spaccato di civiltà territoriale e si portava all’attenzione più generale (glocal) e questo sicuramente facilitava l’organizzazione complessa della ripresa che successivamente trovava una sua sintesi nel montaggio. “ I Giardini di Abele” si avverte la stessa collaborazione tra i personaggi e il racconto che fa Sergio Zavoli, dove le parole non sono troncate, dove possiamo apprezzare il ragionamento di chi da un lato si sente messo sotto accusa nel cambiamento (gli infermieri) e da un altro i pazienti che scelti significativamente hanno raccontato la loro vita nell’ospedale presentandosi davanti all’obbiettivo della cinepresa ( gli infermieri e i pazienti) con il “vestito delle festa” per il rispetto verso il pubblico e l’intervistatore che stava raccontando una esperienza sicuramente significativa.
La RAI Servizio pubblico quindi potrebbe fornire contenuti agli spettatori anche per aiutare la riflessione, cercare di rieducare il pubblico ad apprezzare dei contenuti diversi da quelli che ci vogliono trasformare in consumatori. Tutti i canali che possiamo ricevere sono alimentati nella stragrande maggioranza dalla pubblicità, quindi il loro compito, la loro missione è raccogliere il maggior numero di spettatori, questo è evidente nei social network dove la pubblicità si paga in funzione di quanti utenti fruiscono i singoli contenuti (contatti).
Le scelte politiche sulla cultura, sono importanti, oltre a ricordare che è una settore legato allo sviluppo e all’occupazione dell’Italia è anche uno strumento per la crescita intellettuale collettiva, dove le diversità culturali sono una ricchezza, partendo dai nostri dialetti, che sono l’espressione culturale dei singoli territori.
Una scelta importante quella che potrebbe fare la RAI TV servizio pubblico nel promuovere una struttura che si dedichi al documentario, e potrebbe avere delle ricadute anche sulle sedi regionali, se opportunamente sostenute da professionisti, utilizzando anche le possibilità che ci offre la tecnologia digitale ad avere rapporto con i singoli territori. La missione impossibile, ma praticabile se esiste una volontà politica per rapportare la rivoluzione digitale alla crescita culturale del paese.