L’eventuale concessione della grazia all’on. Berlusconi non può essere considerata un atto legittimo, rientrante nelle prerogative che il Presidente della Repubblica può esercitare discrezionalmente, ai sensi dell’art. 87 della Costituzione. La Corte Costituzionale con la sua sentenza n. 200/2006 ha chiarito “ come – determinando l’esercizio del potere di grazia una deroga al principio di legalità – il suo impiego debba essere contenuto entro ambiti circoscritti destinati a valorizzare soltanto eccezionali esigenze di natura umanitaria” ed ha precisato che tale potere deve essere ricondotto alla “ sua funzione di eccezionale strumento destinato a soddisfare straordinarie esigenze di natura umanitaria”.
Nel caso della condanna dell’on. Berlusconi la grazia non può essere fondata su straordinarie esigenze di natura umanitaria che nella specie sono del tutto insussistenti, ma viene espressamente richiesta per annullare gli effetti penali di una condanna e giustificata con l’esigenza di rendere immune un capo politico dalle conseguenze dei suoi comportamenti illegali.
In questo modo la grazia andrebbe oltre lo stesso risultato a cui miravano le ripetute misure legislative (lodo Maccanico, lodo Alfano, lodo Schifani) che la Corte Costituzionale ha cancellato dall’ordinamento giuridico perché attribuivano alle persone titolari di funzioni politiche apicali privilegi ed immunità non previste e non consentite dalla Costituzione.
E tuttavia la grazia a Berlusconi non sconfesserebbe soltanto la giurisprudenza della Corte costituzionale, delegittimandone la funzione di garanzia, ma inciderebbe direttamente sul principio supremo della divisione dei poteri, in quanto Berlusconi verrebbe sottratto dal dovere dell’osservanza della legge penale, che grava su indistintamente su tutti i cittadini, proprio in funzione del suo ruolo di potere.
Orbene la separazione dei poteri comporta che l’esercizio della giurisdizione non può essere ricondotto nell’ambito dell’indirizzo politico o assoggettato a valutazioni di opportunità. L’indipendenza della magistratura è stata concepita negli ordinamenti democratici proprio per consentire che il controllo di legalità potesse penetrare anche nei santuari del potere economico e politico, al fine di assicurare il rispetto della legge e, con esso, garantire tutti i cittadini da ogni forma di abuso dei poteri.
Il fatto che un uomo politico potente come Berlusconi sia chiamato a rispondere delle sue malefatte ed inchiodato alle conseguenze dei suoi comportamenti illegali costituisce la gloria dello Stato di diritto, dimostra che la Costituzione è viva e che le garanzie dell’ordinamento democratico sono ancora attive e vitali, malgrado da circa vent’anni una politica che aspira all’onnipotenza stia cercando di mettere la museruola alla giurisdizione.
L’annullamento della sentenza penale di condanna di Berlusconi attraverso l’uso distorto del potere di grazia aprirebbe una breccia ai principi supremi che governano la vita della Repubblica, introducendo – a beneficio di un potente – una sorta di “immunità funzionale” al di sopra della legge.
Del resto il Presidente Napolitano, in una nota del 12 gennaio 2008, scriveva che “la grazia non può mai sindacare la correttezza della decisione penale adottata dal giudice – perchè – se applicata a breve distanza dalla sentenza definitiva di condanna, la grazia ha il significato di una valutazione di merito opposta a quella del magistrato, configurando un ulteriore grado di giudizio che non esiste nell’ordinamento e determinando un evidente pericolo di conflitto di fatto fra poteri”.