Il 9 agosto Enzo Biagi avrebbe compiuto 93 anni e per Pianaccio, il paese sull’Appennino Tosco-Emiliano che gli ha dato i natali, è un giorno di festa: crescentine e tigelle per tutti, sulle note dell’immancabile “Bella Ciao”. Per questa speciale occasione il Fatto Quotidiano, invece della grande intervista, pubblica il suo racconto sul “mestiere del cronista” che, utilizzando come unici strumenti un taccuino e una biro, gli è riuscito piuttosto bene. Quando giovani studenti gli chiedevano del suo mestiere rispondeva con le parole di Luigi Barzini: “Sempre meglio che lavorare” poi aggiungeva “se incontrate un giornalista che si lamenta ricordategli che i minatori del Galles se la passano peggio”. La carriera di Biagi, straordinaria, è stata una corsa a ostacoli grazie alla politica. Nel marzo 1987 a dirigere il Corriere della sera fu nominato al suo posto Ugo Stille. Anni dopo, quando Tangentopoli era ormai un ricordo, l’avvocato Agnelli gli confidò che sulla sua nomina intervenne il presidente del Consiglio Craxi: “Lui no, è prevenuto nei miei confronti”. “Io non ero prevenuto, prevedevo” fu la risposta di Biagi. Le sue disavventure con la politica iniziarono nel 1951 quando un collega gli chiese se era contro la bomba atomica: “Anche contro chi fa bum con la bocca” rispose.
Il giorno dopo il suo nome era fra quelli che avevano aderito al manifesto di Stoccolma e l’editore lo accusò di essere un “sovversivo comunista” e per un anno non scrisse una parola. Nel 1960, dopo sette anni di direzione, fu allontanato da Epoca. Nel Paese tirava aria di colpo di stato. Il democristiano Tambroni guidava un Governo monocolore con l’appoggio del Movimento sociale. A Genova la polizia, comandata dal ministro Scelba, sparò sui manifestanti uccidendone cinque; lo stesso accadde a Reggio Emilia. Epoca titolò: “Dieci poveri inutili morti”. Scrisse Biagi: “Li ha uccisi la cattiva politica, l’ipocrisia, il compromesso, l’interesse meschino che cancella i principi e fa tacere la coscienza (…) Li hanno uccisi anche coloro che tuonano contro il fascismo a Reggio Emilia, e vanno a braccetto con i camerati a Palermo, li hanno uccisi anche quei democratici che respingono le idee e le nostalgie dei missini ma ne sopportano i voti, li hanno uccisi anche quei moralisti che cambiano casacca a seconda degli ingaggi, quegli intellettuali dalle variabili opinioni che, per far dispetto a Moro, sono pronti ad arruolarsi nelle file di Togliatti”. Le pressioni politiche nei confronti di Arnaldo Mondadori furono fortissime e l’editore gli tolse la direzione ma gli propose di rimanere nella casa editrice. Biagi, consigliato, come sempre, dalla moglie Lucia, non accettò: “Si può andare a fare la donna di servizio da qualunque parte, ma non dove si è stato la signora”.
Il rapporto di Biagi con la Rai iniziò nel 1961 come direttore del telegiornale. “Ero l’uomo sbagliato nel posto sbagliato: non sapevo tenere gli equilibri politici, per dire la verità, proprio non mi interessavano, e soprattutto non ho mai amato stare al telefono, in modo particolare con onorevoli o sottosegretari che non proponevano ma davano direttive”. La goccia che fece traboccare il vaso fu un incidente ferroviario a Reggio Calabria. Biagi si rifiutò di dare lettura del telegramma di cordoglio del presidente del Consiglio Fanfani: “Siamo giornalisti non postini” disse alla redazione. Nel 1970 tornò a Bologna a dirigere il Resto del Carlino, era convinto di chiudere lì la carriera, ma tra lui e l’editore, il petroliere Monti, ci fu un politico di troppo: Luigi Preti, ministro delle Finanze. “Monti mi chiese di licenziare Maurizio Chierici, Gianfranco Vené e Nazzareno Frabetti. Solita accusa: comunisti. ‘Cavaliere’ gli risposi ‘fa prima a mandare via me’”.
Storia recente l’editto bulgaro. L’accusa di Silvio Berlusconi: “uso criminoso della tv”. Il Cavaliere, il codardo, mai ha avuto il coraggio di ammettere quell’atto da regime. Biagi resiste e dopo cinque anni, molto ammalato, ritorna in tv su Rai 3 con un suo programma e Berlusconi dai microfoni di Radio anch’io, rispondendo ad una domanda di un ascoltatore ammette la sconfitta: “Ho assistito alla prima puntata della trasmissione di Enzo Biagi, l’ho trovata veramente avvincente, complimenti al dottor Biagi”. Lavorare nell’informazione s’incontrano molti condizionamenti, dovuti al potere economico, politico, poi c’è il conformismo e lo spirito di sudditanza. “Ci sono giornalisti che hanno il loro dittatore di riferimento”, ha scritto Biagi, “la responsabilità è sempre individuale”. Il giornalista sa che deve scegliere, ha rischi da affrontare, c’è chi è morto per affermare una idea di libertà, o semplicemente per realizzare un servizio. Questa è la grandezza del mestiere del cronista: lo si può fare decorosamente solo se si è indipendenti, e Biagi lo è stato.
da “Il Fatto Quotidiano”