Chi ha più di trent’anni, se nella sua vita ha frequentato la politica, ricorda sicuramente quel 3 luglio in cui il segretario di uno dei più antichi partiti italiani,il partito socialista,l’onorevole Bettino Craxi si alzò nell’aula di Montecitorio per respingere le accuse che piovevano contro il suo partito e contro lui stesso per le tangenti versate dagli imprenditori a ministri e uomini di governo.“Se gran parte di questa materia-disse Craxi-deve essere considerata puramente criminale,allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale.Non credo che ci sia nessuno in quest’Aula che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo.” E nessuno si alzò perché chi conosceva il paese,sapeva anche che la corruzione politica era un fatto oggettivo e di grandi dimensioni e che il problema andava affrontato dalle classi dirigenti con la profondità necessaria.Ma questo non avvenne,bisogna riconoscerlo,e da quel giorno ebbe inizio il crollo del vecchio sistema politico repubblicano che ancora oggi è al centro delle analisi degli storici che si sono occupati e ancora si occupano dell’ultimo settantennio della storia d’Italia.Ma alcuni giornali a cominciare da quello che è stato per più di un secolo l’organo della borghesia settentrionale e che ha avuto tra i suoi direttori uomini come Luigi Albertini, Giovanni Spadolini ed ha ora per la seconda volta Ferruccio De Bortoli ,ricordano- né potrebbero fare altrimenti-il secondo e ultimo discorso che lo stesso Craxi fece ai deputati qualche mese dopo,il 23 aprile 1993,in cui attaccato frontalmente dalla procura di Milano per molte vicende che lo riguardavano in maniera diretta,si lanciò in una requisitoria sfrenata e senza limiti verbali e sostanziali contro i giudici e l’operato della magistratura montando un processo senza limiti contro l’uso politico della giustizia contro di sé,la sua famiglia,il suo partito e tutto quello che in qualche modo si legava a lui e alla sua azione politica.E una simile prospettiva appare molto pericolosa non soltanto per la tenuta del governo Letta-Alfano quanto per la politica di “larghe intese” che continua a costituire l’unica possibilità prima delle elezioni politiche che prima o poi dovranno esserci e soprattutto del congresso di autunno del Partito democratico che continua ad agitare la scena politica nazionale senza capire fino a che punto troverà nell’assise una linea capace di unificare i vertici e la grande base dell’erede dei filoni fondamentali della democrazia repubblicana. Le cose si chiariranno nei primi giorni di settembre e dunque non dovremo aspettare ancora molto ma quel che preoccupa una parte cospicua della nostra opinione pubblica è il fatto che il cavaliere di Arcore ha lanciato nei venti giorni seguiti alla sentenza della Cassazione, e continua a lanciare, minacce e avvertimenti nonostante la calma del presidente del Consiglio.I problemi del paese sono gravi e urgenti e hanno ragione quegli esponenti democratici che invitano a discutere idee piuttosto che a battersi per l’uno o per l’altro dei molti candidati alla segreteria del PD. I compiti non sono solo quelli di battere Berlusconi e far eseguire le sentenze che lo riguardano ma anche di far capire, alle vecchie come alle nuove generazioni, che c’è una classe politica decisa a impegnarsi per far uscire l’Italia dalla crisi e condurla a una nuova stagione di riforme. Il problema ancora una volta non è principalmente il destino di un uomo ma quello di una nazione.